Amogh Symphony – IV.1 & IV.2 [Vmbrella, 2019]
Far parte non di una nicchia musicale, bensì della nicchia di una nicchia, può significare essere al posto giusto per creare qualcosa di imprevedibile, che non sarebbero state possibile altrimenti. Provate allora a seguire il filo rosso che lega un oud delineare le sue linee su un misterioso soundscape, mentre dialoga con uno xilofono sintetizzato per circa un minuto, e poi all’improvviso cede la scena a un funky sincopato da disco music, che a sua volta spalanca la strada ad una chitarra, che piazza un giro di accordi sbilenchi in pulito. Aspettate un altro minuto, prima che arrivi una rilassante atmosfera disco, preparatevi per un gustoso assolo distorto, ma non rilassatevi troppo, perché sta per arrivare una pioggia feroce di sedicesimi in palm-muting, come uno schiaffo in faccia. Ora che avete raggiunto i tre minuti di Art of Sharepeshifting degli Amogh Symphony, probabilmente vi sentirete già persi e starete comprendendo perché il significato di questo pezzo risieda nel concetto di trasformazione. L’atmosfera passa attraverso influenze orientali, deflagranti esplosioni di chitarra, intermezzi microtonali e ululati sintetici, il tutto saltellando da un tempo ad un altro. Gli Amogh Symphony si ispirano ad un armamentario che va dal technical e prog metal, alla fusion contemporanea, alla follia zappiana fino alle colonne sonore. Hanno sviluppato un suono unico attraverso un percorso piuttosto singolare, senza che alcuna etichetta possa essergli veramente appicciata.
Il loro ultimo lavoro, IV, pubblicato in due parti separate, segna un salto impressionante per il gruppo. E’ così zeppo di idee innovative, che sembra quasi essere pronto a scalare le vette di un’ipotetica classifica delle band avant metal. Fondato dalla multistrumentista indiano Vishal J. Singh, che ora suona chitarre e batteria principalmente, il progetto Amogh Symphony ha avuto bisogno di categorie a sé stanti sin dagli esordi con Abolishing the obsolete system nel 2009 e The Quantum Hack Code nel 2010. Un miscuglio di metal, prog rock e colonne sonore, declinate attraverso pezzi strumentali dal carattere concettuale e articolato. Presentarsi in una nicchia del metal, senza etichetta discografica, proponendo un suono ancora più di nicchia, è un atto di coraggio. E neanche il loro terzo album nel 2014, Vectorscan, ha accettato compromessi, portando ancora più avanti una personale esplorazione d’avanguardia. Il loro quarto lavoro, diviso in due metà pubblicate a quindici giorni di distanza durante il mese di maggio 2019, è ancora più coraggioso. Una line-up che ora conta quattro membri: oltre a Singh, altri due multistrumentisti, Derick Savio Gomes si occupa di synth e, in alcuni pezzi, delle voci, mentre Andrey Sazonov ha in cura tastiere, sax e violino. A loro si aggiunge Tom Fountainhead Geldschläger. Il chitarrista tedesco è diventato negli anni uno di quei guitar hero dell’era YouTube capaci di proporre idee innovative. Ha sviluppato uno stile unico sulla chitarra fretless, pubblicato due album a suo nome e lavorato con Obscura, Jimmy Pitt e Marco Minnemann tra gli altri.
Il punto di partenza dei pezzi in IV è spesso il metal, ma lo sviluppo può portare, come uno Zappa contemporaneo, a mischiare gli elementi per creare feconde contrapposizioni. Il riff iniziale di Lonely walk to Satyagrah è una specie di labirinto di accenti e microtoni portati dalla chitarra ritmica, perfettamente ammorbidito dalla liricità dei soli sulle suadenti sezioni orchestrali e chiuso da una un’atmosfera da fusion contemporanea molto convincente nel finale. Escher’s reality is a low hanging fruit, invece, parte da un ammiccante intro chill-out, per poi muoversi verso una parte dominata dal drum programming, esplodere in un sezione di tabla e in un’irresistibile danza indiana, con la chitarra solista in evidenza. Poi si riaffaccia un electro pop, subito controbilanciato da un tema di chitarra influenzato dalla musica del sud-est asiatico -che fa venire in mente le sperimentazioni di Phi Yaan-Zek. Il finale, caratterizzato dal grandeur orchestrale, è una celebrazione degna del miglior Devin Townsend. I chitarristi esplorano in maniera interessante le possibilità microtonali dello strumento, con un uso intelligente dei bending che producono variazioni di quarti di tono, come nel primo vero tema che si presenta in Mai bhi joker banunga. Questo pezzo, oltre ad essere un tributo al cineasta indiano Kamal Swaroop e al suo film “Om Dar ba dar” come riportato nelle note di copertina, è probabilmente il più feroce momento di chitarra nell’album: da suoni taglienti e metallici, ad altri aggressivi, soffocanti, passando per soli sulla fretless e ritmiche ipercomplesse che rimandano agli antenati del tech metal, come gli Atheist.
Anche se l’album è stato esplicitamente diviso in due parti per permetterne una migliore fruizione ai fans, vista la sua natura ‘multigenere’, IV può essere anche ascoltato per intero dall’inizio alla fine e mantiene un senso di concept album, una coerenza che spazia attraverso tutte le tracce. C’è voluto tre anni per trovare gli arrangiamenti giusti per i pezzi. Tutti e quattro ci occupiamo di produrre pezzi dalla mattina alla sera. Per questo non volevamo utilizzare idee che suonassero obsolete, cosa che richiede un preciso stato mentale per fare in modo di creare e trovare l’ispirazione -dice la band nelle note. In maniera interessante i pezzi spingono così in avanti i limiti che, anche quando partono da un chiaro punto di partenza, spesso ne scappano il più lontano possibile man mano che passano i minuti. Birds parte con un riff spigoloso, pieno di armonici e slide, che sembra uscito da Steve Vai, per poi diventare un pezzo da musica etnica e, passando per un momento più psichedelico, raggiungere una coda a la Cynic nel finale. E, allora, non sorprende vedere in un altro pezzo, Enduring freedom since 1947, il batterista della band tech metal Sean Reinert come ospite.
Mescolare il pop con l’ipercomplessità è la regola per gli Amogh Symphony. Ad esempio, il riff facile e canticchiabile di Draining colours from the rainbow while dancing between raindrops, pezzo ispirato da esperienze psichedeliche, spirituali, meditazioni sull’Himalaya, dal Dadaismo e dall’esistenza di un classicismo nei fumetti anime, si trasforma prima in un solo intellettuale di una chitarra pulita e, poi, in una parodia delle sigle dei cartoni animati. Oppure Drone-Bomb Acharya (The Bombmaker’s song) che parte da un riff flamenco su una batteria in quattro, tipica da classic rock, per poi svilupparsi inaspettatamente in una traccia da epic metal.
Gli Amogh Symphony hanno dato vita a un lavoro che è senza compromessi e pieno zeppo di idee, mescolando riff ammiccanti con una scrittura molto articolata, facendosi ispirare da così tante influenze che è impossibile seguirne spesso il percorso.
Amogh Symphony
IV.I :
- His Master’s Voice(feat. Kasturi Nath Singh)
- Lonely walk to Satyagraha
- The Art of Shapeshifting
- Everything is now – in the eye of the sun(feat. Writam Changkakoti)
- Escher’s reality is a low hanging fruit
- Mai bhi Joker banunga
- Farewell Father
IV.II :
- Cats can in Narnia
- Birds(feat. Deep Saikia)
- Enduring freedom since 1947(feat. Sean Reinert)
- Draining colours from the rainbow while dancing between raindrops
- Drone-Bomb Acharya(The Bombmaker’s Song)
- Third Eye Awakening(feat. Kasturi Nath Singh)
Derick Savio Gomes : Electronics, Synth, Vocals, Sound Design, Ukulele and Sampling
Andrey Sazonov : Keys, Piano, Organ, Prepared String instruments, Violin, Woodwinds, Saxophone, Electronics, Balalaika, Strings arrangement and Sampling
Tom Fountainhead Geldschläger : Turkish Oud, Fretless Electric Guitar, Backing vocals
Vishal J.Singh : Fretted Electric Guitar, Prepared String instuments, Vocals, Guitar Synthesizer, Drums, Percussion, Horns and Brass Arrangement, Strings arrangement and Sound Design
Kasturi Nath Singh : Traditional ethnic vocals
Writam Changkakoti: Tabla
Deep Saikia : Pepa(Traditional Assamese Wind instrument)
Sean Reinert : Guest drum performance