Ikarus – Mosaismic [Ronin Rhythm Records, 2019]

Ikarus – Mosaismic [Ronin Rhythm Records, 2019]

Jun 1, 2019 0 By Marcello Nardi

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INTERVISTA con Ramón Oliveras nell’Aprile 2019

L’architettura non è solo un’influenza per me, ma è anche una maniera per descrivere il mio lavoro di compositore e per descrivere come gli Ikarus fanno la loro musica. Perché in architettura bisogna rispettare la forma, costruire le fondamenta, non puoi contravvenire alle leggi della gravità e della fisica. Ma una volta passata questa fase, allora puoi dar forma alle costruzioni. Nelle parole delineate da Ramón Oliveras, batterista e principale compositore del quintetto svizzero Ikarus, traspare più che semplice inspirazione, voglia di imitare o, perfino, adorazione delle pratiche architettoniche. Disegnare un’esperienza di vita, ribaltare i limiti dei materiali per creare arte, piegare le leggi della fisica ai propri scopi, queste sono cose che gli Ikarus prendono ad ispirazione dall’architettura per poi riapplicarle nella loro musica. Il quintetto svizzero crea una casa di narrazioni costruita attorno a figure geometriche, strati di suono, illusioni ritmiche e paesaggi emozionali. Le note vivono questi posti come fossero muri e porte, capaci di suggerire nuove percezioni della realtà.

Gli Ikarus creano nei loro pezzi un mix inedito di poliritmie minimaliste, musica da camera contemporanea, staccati prog rock, conditi di un certo ipnotismo Zeuhl. E non va dimenticato che il gruppo ha radici anche nell’improvvisazione jazz -da ascoltare ad esempio l’uso dei cromatismi negli intricati obbligato di Mondrian, da quest’ultimo album. Piegano il loro gigantesco ammasso di ritmi allo sviluppo della narratività del pezzo piuttosto che al raggiungimento di una sorta di staticità ritmica, ma soprattutto fanno sempre attenzione al lato emozionale della loro musica. Formatisi nella vivace scena del postminimalismo svizzero, che sta portando alla luce una valanga di artisti e idee differenti, si sono incontrati attorno alla figura del batterista Ramón Oliveras. Ho studiato a Zurigo, all’Università delle Arti fino ad un paio di anni fa -dice Oliveras. Volevo concludere i miei studi lì. Mi piacevano molto la musica di Arvo Part, gli artisti ECM, la musica per voce. Volevo provare a mescolare un gruppo jazz con questi stili. Mi era chiaro che avrei iniziato da un piano trio, che trovo una formazione straordinaria per esprimere il lato ritmico della musica. All’epoca suonavo in parecchi piano trio. E poi volevo che ci fossero delle voci. Iniziando dall’idea di una line-up acustica, Oliveras ha scelto con attenzione i suoi compagni d’avventura: il miglior scenario possibile per me sarebbe stato avere due voci, possibilmente una maschile e l’altra femminile. In quel momento trovavo per la maggior parte cantanti jazz. Ho cercato in maniera approfondita prima di trovare un vocalist maschile. Avevo questa cosa in mente, di creare musica con questo tipo di formazione, e quindi mi sono messo alla ricerca. Moritz Meyer, il bassista, e anche la nostra prima cantante Stefanie Suhner, sono stati i primi ad iniziare con me. Li conoscevo già da prima e volevo suonare con loro.

Cerco sempre un’idea che si possa sviluppare in molteplici direzioni

Trovare il giusto pianista sarebbe stato il passaggio critico, vedendo poi a quale tipo di direzione musica il gruppo avrebbe scelto. Tenendo in considerazione quanto la musica degli Ikarus sia guidata da un approccio che vuole tutti gli strumenti a guidare sia la parte ritmica che quella armonica, sarebbe stato difficile trovare semplicemente ‘un’ pianista. Lucca Fries è stato un colpo di fortuna -dice ancora Oliveras. Mi avevano detto che c’era questo grande pianista a Lucerna, che sapeva suonare tutto ed al momento non era impegnato con un gruppo in particolare. Sapevo che volevo qualcuna che avesse tempo per suonare e non musicisti che suonassero già in altri situazioni, perché in quel caso sarebbe stato difficile provare o fare grandi tour. Lucca Fries si rivelò un tassello cruciale del gruppo, capace di adattarsi perfettamente alle idee postminimaliste che erano alla base degli Ikarus, idee che fra l’altro ha portato avanti in maniera parallela con il suo duo Hely. A completare la formazione era il momento di trovare un secondo cantante, questa volta una voce maschile. Oliveras ha allora chiesto aiuto al rinomato cantante svizzero Andreas Schaerer, che ha consigliato uno dei suoi studenti, il suo nome è Andreas Lareida. La cosa divertente è che tutti gli altri supergruppi composti alla fine dei percorsi di studio alla fine tutti sono durati massimo due anni. Gli Ikarus hanno pubblicato tre album, a cominciare da Echo uscito nel 2015, anticipato da un EP dell’anno precedente. Inoltre, il gruppo è riuscito ad avere una certa stabilità, visto che solo con l’uscita di Mosaismic assistiamo al primo avvicendamento. La cantante Anna Hirsch è entrata al posto di Stefanie Suhner, che ha lasciato il gruppo a seguito delle registrazioni di Chronosome, il loro secondo lavoro pubblicato nel 2017. Va a completare una line-up composta da Andreas Lareida alle voci, Lucca Fries al piano, Mo Meyer al basso e, ovviamente, Ramón Oliveras alla batteria.

La musica degli Ikarus sembra avere un rapporto speciale con lo spazio: é concentrata sulla risonanza degli strumenti, ma ha anche una forza di abitare lo spazio fisico, quello spazio che circonda la musica stessa mentre viene scritta e, quindi, eseguita. Ramón Oliveras non fa mistero del suo amore per alcuni posti e per come questi posti hanno influenzato la sua composizione: un esempio è il Giappone con le sue influenze zen, un luogo nel quale la band ama fare concerti. Oppure il Brazile, che fortemente influenzato il precedente Chronosome e la cui architettura ha giocato un ruolo nella composizione di alcune tracce in Mosaismic. E non va dimenticata Berlino, dove Oliveras ha vissuto per un periodo prolungato durante la composizione di quest’album. La maggior parte della musica è stata scritta a Berlino -dice Oliveras. In particolare, la prima traccia dell’album, Meridian è stata composta nella città tedesca. Durante la mia permanenza di quattordici mesi ho lavorato a questo pezzo. Mi sono ispirato alla scena della musica elettronica e contemporanea di Berlino. La melodia di piano di Meridian è stata fatta con l’arpeggiator e si è direttamente ispirata alla frenesia di questa città.

La traccia inziale è aperta da un pattern poliritmico di Oliveras, dall’andamento quasi marziale, sviluppato attorno ad un metro dispari sopra ad un semplice quattro quarti. Lucca Fries aggiunge un’elettrica figura in sedicesimi, un tema discendente d’impatto con un’atmosfera in minore, che mantiene un andamento a spirale sopra al battito sottostante. L’entrata delle due voci nel registro più alto cantano, come di regola nel gruppo, una linea vocale priva di parola, segnando l’inizio di un contrappunto ambiguo. Il basso ed il piano lo rinforzano in maniera veemente, agenda nel registro più basso. Lucca Fries va avanti e indietro rispetto al tema dell’intro, questa volta riprendendolo nel registro alto. Il senso di galleggiamento del pezzo è anche provocato dalla contrapposizione delle note basse con il cantato etereo di Lareida e Hirsch. Quando, intorno ai due minuti e mezzo, Fries porta un intermezzo in Mi, la sezione ritmica si lascia andare all’improvvisazione, con un crescendo ricco di intensità. Per quanto questo pezzo abbia una cifra scura, ho deciso di inserirlo come traccia inziale per creare subito un senso di viaggio e di energia pulsante. In quasi otto minuti, il pezzo si evolve attraverso molteplici direzioni. Mostra come gli Ikarus stanno andando sempre di più verso l’improvvisazione e verso una musica fatta di idee semplici formate da strutture complete. Volevo che questo pezzo per primo facesse capire questo, e desse l’idea di questa energia. Nella seconda parte il tempo di dimezza, questa volta intorno ad un tema imperiosamente ascendente guidato dal piano e raddoppiato dalle voci e dal basso. E’ una modulazione ritmica da sette a cinque -indica Oliveras. Si può suonare la prima parte sulla seconda, possono andare indipendentemente. Mi piace perchè è un cambio di tempo rapido e inatteso, è una cosa che mi piacerebbe fare più spesso in futuro. Per circa due minuti il tema progredisce verso una sezione che rallenta finchè, a circa sei minuti e mezzo, il pezzo ritrova la sua forza originaria con un intenso staccato del piano -suonato sulle corde pizzicate- insieme al basso e alla batteria. 

Oliveras suona anche in un interessante trio, i Punkt3, che hanno all’attivo due album a loro nome, oltre a lavorare come PR per la Ronin Rhythm Records, l’etichetta guidata e fondata dal pioniere dello zen funk Nik Bärtsch. Si sono conosciuti prima della pubblicazione del primo album degli Ikarus, e il pianista sivzzero ha giocato un ruolo cruciale nel loro sviluppo, come testimoniato dalle parole di Oliveras: abbiamo fatto questo EP di quattro pezzi [prima dell’uscita di Echo, nel 2015]. Lars, che aveva missato questi pezzi, era anche il nuovo sound tech di Nik Bärtsch per i Ronin all’EXIL club, in occasione dei loro concerti del lunedì. A quel punto Lars ha fatto sentire l’EP al soundcheck e Nik mi ha chiamato per dirmi che gli piaceva molto la mia musica e che voleva rimanere in contatto nel caso gli Ikarus facessere un album. Mi piacque l’idea e volevo lavorare con Nik Bärtsch e la sua etichetta. Oliveras da quel punto ha aumentato la sua esposizione nell’etichetta, supportando gli altri artisti e mettendo a disposizione la sua esperienza con l’organizzazione e il marketing: avevo lavorato molto nel booking e nelle PR per Ikarus. A quel punto Nik mi chiese se volessi supportare la Ronin Rhythm Records. Ero molto interessato a fare PR anche per gli altri artisti della famiglia, come Kali, Hely e Nicolas Stocker. E alla fine questo ha aiutato anche gli Ikarus.

La musica degli Ikarus racconta una storia

La band si è sempre concentrata sulla scrittura dei loro pezzi, cosa che poteva lasciare poco spazio alle opportunità di improvvisazione. Eppure, hanno sviluppato uno spazio per l’improvvisazione, attraverso una forte attività live, lavorando di cesello negli interstizi delle loro composizioni, creando in maniera lenta e costante nuove versioni dei loro lavori. Ramón Oliveras ricorda i primi momenti del gruppo: ho scritto delle partiture pazzesche, ogni dettaglio indicato su carta come fosse un pezzo di musica contemporanea. Questo ha costretto i miei colleghi a provare in maniera davvero approfondita. All’inizio gran parte della musica degli Ikarus era composta. Più suonavamo insieme, più creativi diventavamo nel trattare il materiale composto. Ogni membro diventava importante. Stavo dando forma ad una direzione per il gruppo con i miei pezzi. Partendo da partiture molto dettagliate, l’approccio di Oliveras ha mantenuto l’ideologia minimalista della rimozione del non necessario. All’inizio utilizzavo molto le partiture, gli spartiti, scrivevo tutto. Ora invece, una volta che proviamo, c’è come un punto di non ritorno, dopo il quale il pezzo doveva essere internalizzato. L’arrangiamento, le idee interessanti, iniziano a quel punto, quando la partitura è imparata a memoria. A quel punto la musica inizia a scorrere. Suonare i pezzi dal vivo, ancora prima della pubblicazione, è un elemento importante per sviluppare nuovi pezzi. Lo hanno fatto anche per Mosaismic: abbiamo fatto gli ultimi aggiustamenti il giorno prima di andare in studio. Ma comunque è importante sempre testare i nuovi pezzi dal vivo prima. Man a mano che andiamo in tour, è come se i pezzi entrassero sempre più in sintonia con noi. E’ veramente importante suonare il più possibile, prima di andare a registrare e provare i pezzi dal vivo. Non sono nuovi a ritornare su pezzi già pubblicati e non fa sorpresa vedere che, anche nel loro terzo album, compaiono due tracce pubblicate in passato: l’aggressiva Subzero, quasi dall’andamento math rock, dal precedente Chronosome, e Aligulin, precedentemente pubblicata come Ligulin nel loro album di debutto Echo. Giocata attorno un ritmo irregolare delle due voci che cantano all’unisono, Aligulin è ora rivitalizzata in una nuova versione che lascia maggior spazio all’improvvisazione. Laddove la versione iniziale dava molto spazio alle linee di basso, disegnando un’atmosfera molto densa e percussiva, ora Oliveras esplora di più i pattern poliritmici e spesso li combina con metriche differenti nella stessa battuta. Meyer lo segue passo passo e creando un dialogo ramificato, mentre Fries costruisce in maniera meticolosa una rete di accordi potenti, massimalisti, e lavora sulle estensioni in un vortice modale.

Mosaismic segna una cambiamento nel percorso della band: la differenza è sopratutto nella presenza di Anna Hirsch -dice Oliveras riferendosi alla nuova vocalist che è entrata da due anni nel gruppo. Ha avuto un peso importante nello sviluppo di Andreas Lareida. Ha una voce davvero diversa rispetto a Stefanie Suhner. Andreas ha dovuto lavorare per adattarsi al suo modo di cantare. Nel nuovo album, lui ha un suono molto più caldo e delicato, e i due creano una specie di equilibrio tra le due voci. Stefanie aveva una voce molto più distinta, da preparazione classica, tanto da far risaltare quella di Andreas come un pò più aggressiva. Mi piace questa nuova sonorità smussata che hanno trovato insieme. Si adatta bene al piano e al basso, esce meglio nel missaggio. E’ spesso difficile capire di chi è la voce che canta in alcuni passaggi dell’album, cosa che rinforza le parole di Oliveras quando parla dell’affiatamento dei due. Cirrus inizia con le due voci che cantano in hoquetus, dialogando con il basso e muovendosi su un tema ascendente come stessero scalando una cima. Ha una piacevole atmosfera jazz, anche nel momento in cui le due voci si alternano nella lunga coda, creando l’energia per un meraviglioso ritorno del tema iniziale, prima di muoversi verso una modulazione dal sapore pastorale. La coesione tra i due ha giocato un ruolo chiave nell’album, oltre che la scelta di avere un approccio diverso dai precedenti alla registrazione. Ancora una volta attraverso le parole di Oliveras: un altro fattore importante è stata la presenza in sala di registrazione di Martin Ruck, il nostro ingegnere del suono, che aveva già missato il nostro secondo album. Ha fatto davvero la differenza, sapeva esattamente come volevamo il suono.

Non suoniamo mai dal vivo con lo spartito, è una cosa a cui tengo molto. Con lo spartito, infatti, non riesci mai ad arrivare al punto estremo in cui riesci a sviluppare la musica in molteplici direzioni

Scrivere un pezzo significa creare un ambiente, qualcosa che ognuno dei cinque musicisti può manipolare, adattare, popolare con il suo approccio. Oliveras racconta in particolare come avviene il suo processo compositivo: ogni pezzo ha un’idea forte dietro. La terza traccia, Saiko, può essere presa a esempio. All’inizio questo pezzo era fatto da circa sette parti differenti. Durante le prove abbiamo capito che le prime due parti erano così ricche di idee che, anche solo andando avanti e indietro tra queste, sarebbe stato abbastanza. Non avevamo bisogno delle restanti cinque parti per completare il pezzo. Un lento movimento circolare caratterizza il tema iniziale, fatto di ottavi eseguiti dal piano che rimbalza tra intervalli diminuiti, prima di risolvere in una specie di cadenza per quinte. Le voci si alternano creando un contrappunto ramificato, capace di creare un dialogo ricco di peculiarità ritmiche e armoniche. Nonostante ciò l’atmosfera rimane eterea, ancora di più quando Meyer prende la scena, con un intermezzo in pizzicato. Il tema iniziale ritorna in superficie, con Fries che aggiunge un solo dal carattere ambiguo e senza risoluzione apparente. Il gruppo crea un senso di crescente intimismo, lo mescola con una sensazione di attesa sinistra per qualcosa che deve avvenire. Saiko è passata attraverso un processo di riscrittura piuttosto meticoloso, rispetto al materiale iniziale, eppure nonostante questo mantiene freschezza e immediatezza. E’ una delle cose importanti che un musicista deve sapere, quanto togliere dalla sua idea originale -dice Oliverasper arrivare a quello che è veramente importante. Inoltre, ho capito che, se trovi una buona idea, devi ridurre tutto al solo necessario. A quel punto riesci ad essere molto più creativo. Perché, più forte è l’idea, più facilmente la puoi suonare e puoi creare attorno altro. Se è qualcosa di troppo complicato, se ha troppe parti, allora non arriverai mai al punto dove riesci a fare tutto quello che vuoi. Di solito ci serve tempo per arrivarci, spesso un anno di prove e un tour, finché un pezzo non diventa veramente libero dalle sovrastrutture e si riesce a farci quello che veramente si vuole. Per fare in modo che avvenga, bisogna togliere tutto quello che non è necessario. E ancora, riflette su quanto il materiale scritto sia elastico abbastanza da permettere ai musicisti di dar spazio alla propria personalità: le idee musicali vengono da me, ma ognuno nel gruppo ha una forte identità musicale, e gli arrangiamenti li facciamo insieme. Non avrei potuto comporre da solo la musica esattamente così com’è nell’album. Il gruppo è veramente importante per far scorrere la musica.

Attraverso un processo in cui diventa sempre più complessa, la loro musica rischia perennemente di perdere il filo rosso. Eppure, questo non succede, e i loro pezzi mantengono un invidiabile coerenza interna: la coerenza viene dal fatto che rivediamo tutto ed eliminiamo il non necessario. Come per Saiko, che aveva le sette parti originali. Per me la coerenza arriva quando ritorno al pezzo, lo vedo nel contesto e decido quello che è importante e quello che non lo è. La narratività gioca un ruolo decisivo che mai viene perso. Ogni elemento musicale è raffigurato in uno stadio di perenne sviluppo, tutto si muove da un punto per arrivare ad un altro. Per questo l’elemento melodico mantiene un’importanza centrale nella scrittura: compongo per linee. Prima scrivo le melodie, sopra altre melodie, sopra a ritmi, ad altre melodie. Non scrivo mai cambi di accordi, non mi si vedrà mai scrivere cose del tipo ‘in questa melodia bisogna suonare un Do maggiore settima nona’. Anche quando scrivo le melodie per Lucca, è lui a decidere che forma dare. Se senti un accordo di piano, sarà sicuramente qualcosa non che ho scritto io, ma che Lucca ha sviluppato partendo dalle idee vocali, del basso, della batteria o delle note nel registro alto. E’ qualcosa che vale per tutti nel gruppo, anche il basso può fare delle variazioni e trovare nuove soluzioni, purché tutto rimanga in equilibrio. […] per me, la seconda cosa più importante sono le linee ritmiche. Cerco sempre di trovare un’idea musicale che possa essere sviluppata in molteplici direzioni. La maggior parte del tempo, se il basso sta suonando la melodia, allora i cantanti eseguiranno la melodia al registro basso, magari nelle ottave superiori. Se il piano sta facendo un arpeggio, magari allora la batteria seguirà lo stesso ritmico. Cerco di prendere idee musicali da qualunque cosa. 

Mosaismic è il risultato finale di un mix di influenze: ho ascoltato tanto i The Knife. E’ una band svedese, che è stata capace ad ogni album di fare qualcosa di completamente diverso. Uno suona techno, un altro come un’opera contemporanea. Ho ascoltato anche molta musica contemporanea quest’anno, perché sono tornato alla University of Arts, dove ho studiato musica classica contemporanea, appunto. Ligeti, Morton Feldman, e ovviamente i minimalisti americani come Steve Reich e Terry Riley sono stati tra i miei ascolti. La terza vera influenza è venuta dalla mia residenza a San Paolo: è stato veramente eccitante ascoltare tutto quel groove nelle strade ogni giorno e vedere questa incredibile cultura musicale dal vivo. Oliveras cerca sempre di creare musica che contiene al suo interno molteplici punti di vista: per questo album ho iniziato ogni pezzo da uno strumento diverso. In un pezzo improvvisavo al piano, un altro all’organo. Un’altro ancora proveniva da un’idea che avevo fischiettato mentre aspettavo l’autobus. Oumuamua, per esempio, non è stato composta sulla partitura, ma l’ho prodotta alla workstation registrando da solo tutte le parti. Per questo pezzo, avevo una cosa come venti differenti spartiti sul pavimento che mettevano insieme il corso degli eventi. Ovviamente alcuni pezzi sono nati alla batteria, ma ho cercato di essere flessibile per fare in modo che il risultato fosse interessante. 

Ci sono molti musicisti giovani che stanno sviluppando la loro musica verso una direzione minimalista. E’ una cosa che mi piace

Oumuamua è costruita attorno ad un singolo pattern poliritmico ripetuto dall’inizio alla fine. Le voci aggiungono linee prolungate sullo strato superiore, fino a che il pezzo non diventa sempre più aggressivo, più orientato al prog, con i suoi stacchi violenti. La ripetizione nella musica degli Ikarus è un mezzo per mettere a fuoco il graduale sviluppo del materiale compositivo. Proprio perché la ripetizione è alla base dello zen funk che Bärtsch ha sviluppato nel corso di vent’anni e viste le somiglianze tra le due esperienza musicali, ho chiesto ad Oliveras cosa differenziasse le due concezioni: per me la ripetizione è meno rituale, ma più focalizzata ad acuire i sensi. Mi piace il fatto che quando sento qualcosa di ripetuto, sento particolare sempre nuovi. Anche se è sempre esattamente lo stesso suono: quando lo senti per un periodo prolungato di tempo, lo senti in maniera sempre diversa anche se ripetuto. La musica degli Ikarus non è solamente ripetitiva, ma ha anche una tensione drammatica, mentre Ronin si configura più come un’esperienza rituale. La musica di Nik Bartsch agisce come arando dei solchi nei miei pensieri. Ho spesso grandi idee quando la ascolto! Per quanto riguarda Ikarus, invece, c’è un elemento di storytelling, come se si stesse guardando un film. Le persone vengono ai concerti e mi dicono ‘ho visto questa immagine e ho rivissuto un’esperienza specifica nella mia memoria grazie a questo suono’. Ovviamente la ripetizione ha un ruolo importante in questo. Ma ha una cifra meno rituale, piuttosto agisce creando una specie di viaggio.

Gli Ikarus si stanno posizionando in una zona di intersezione nella fiorente scena svizzera, dove si sta reinterpretando il minimalismo attraverso i linguaggi del math rock, dell’elettronica, del jazz contemporaneo e perfino del prog rock. Esiste una scena postminimale in Svizzera? Penso di si -risponde Ramón Oliveras. Specialmente Nik sta avendo un ruolo importante, mettendo insieme gruppi interessanti nella sua etichetta, come i Kali, Hely, che trattano il materiale musicale in maniera simile, anche se sono completamente diversi nel risultato finale. Se non fosse per Nik, questa comunità non crescerebbe in questa maniera. […] Ci sono molti musicisti interessanti che stanno sviluppando le loro idee nell’ambito del minimalismo. Mi piace. La ripetizione è più di un mezzo e meno di uno scopo per questo band. Ripetizione e figure ritmiche sono elementi importanti per me, come ridurre ciò che non è necessario. Hanno tutti un sound molto levigato nelle registrazioni. La maggior parte di queste band post minimalistiche stanno cercando di raggiungere concetti che vanno oltre la loro musica. Hanno un rapporto speciale con il suono dal vivo, con l’illuminazione dal vivo, con la grafica dei loro lavori, nel cercare di far combaciare tutte queste cose. L’aspetto visuale sta diventando sempre più importante nella scena jazz. Penso che questa musica sia acquisendo sempre più profondità, grazie a questo tipo di attenzione all’elemento visuale.

Gli Ikarus costruiscono il loro spazio distorcendo la geometria e la spigolosità dei pattern agli scopi della loro narrazione, sempre sviluppando un racconto, piegando lo spazio e il tempo alla loro visione. Mosaismic è il terzo passaggio di questo percorso.

Ikarus
Mosaismic

1.Meridian
2.Oumuamua
3.Saiko
4.Aligulin
5.Ikenophobia 
6.Subzero
7.Mondrian
8.Iridium
9.Cirrus

Ramón Oliveras – Comp & Drums
Anna Hirsch – Vocals
Andreas Lareida – Vocals
Lucca Fries – Piano
Mo Meyer – Bass

Recorded Nov 2018 at Fattoria Musica Osnabrück
Published by Ronin Rhythm Productions & Neonstars Publishing