David Torn, Tim Berne, Ches Smith – Sun of Goldfinger [ECM, 2019]

David Torn, Tim Berne, Ches Smith – Sun of Goldfinger [ECM, 2019]

Mar 7, 2019 0 By Marcello Nardi

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Tra gli innumerevoli aneddoti a proposito delle relazioni tra Miles Davis ed i suoi musicisti, ce n’è uno che ho sempre amato, raccontato da John Scofield. Il chitarrista, che ha suonato nella line-up dei primi anni ’80, quella del ritorno di Miles Davis sulle scene, racconta cosa succedeva quando il trombettista si alternava alle tastiere durante i concerti. Amava suonare una singola nota, dissonante con quello che il resto della band stava suonando, per un tempo interminabile. Era una nota tenuta nell’ambito di un blues in Si bemolle, in genere un La, per creare un effetto dissonante. Ricordo che una volta, al Festival di Berlino, alzò talmente il volume da rendermi quasi impossibile farmi sentire con la chitarra. Gli piaceva il sintetizzatore -ogni giorno aveva un’idea diversa-, ma lo faceva per irritarti. Non so. Penso che lui ami l’ambiguità. Sicché non si capisce se voglia sabotarti l’assolo, o creare atmosfera, o ancora mettere tutti fuori gioco. E’ un insieme di queste tre cose, e non riesci a farti catturare. E’ affascinante, ti stimola a pensare. Non so mai cosa stia facendo.1 Mi è rivenuta in mente leggendo le parole del chitarrista

David Torn e del sassofonista Tim Berne a proposito del loro lavoro appena pubblicato da ECM, in un trio che comprende anche il batterista Ches Smith. Entrambi fanno riferimento all’essere stati al di fuori dalla loro zona di comfort durante la registrazione del lavoro, cosa che ha permesso alle idee del gruppo di sbocciare; una situazione di difficoltà feconda simile a quella che Miles Davis richiedeva (ma chi lo sa veramente cosa voleva?) dai suoi musicisti. Una terra dalla quale nascono, nel caso del trio, mix di chitarre aliene a base di loops, urli lancinanti di sax alto e tappeti sonori di percussioni, il tutto creando un vortice di improvvisazioni ipnotizzanti. Sun of Goldfinger è un capolavoro di outside playing, dove outside non ha niente a che vedere con i concetti armonici, ma con la capacità di uscire fuori dalla zona di comfort e di spingere la musica ad esplorare nuovi confini.

Il primo album dei Sun of Goldfinger ha quasi raggiunto lo status di un nuovo album dei Tool, poiché ha visto la pubblicazione solo nel 2019, nonostante il trio abbia cominciato a suonare addirittura nove anni fa. Da quando David Torn ha lavorato su Prezens, uscito per ECM nel 2007 -un lavoro in cui figurava anche Tim Berne-, i due hanno iniziato a rimpallarsi l’idea di suonare insieme. Sono stato spinto fuori dalla mia caverna in maniera graduale, ma ferma, dalle chiacchierate con Tim Berne -diceva Torn in un’intervista con Anil Prasad nel 2009. Mi ha invitato ripetutamente a suonare con i suoi gruppi. Gli ho detto che volevo solo fare concerti che fossero completamente improvvisati, perché nelle altre esperienze della mia carriera, particolarmente con le colonne sonore, c’era solo spazio per la scrittura e la preparazione della musica. La loro collaborazione é di lunga data, iniziata negli anni ’90, quando Tim Berne, un musicista che ha prodotto la maggior parte della sua musica attraverso le proprie etichette, ha lavorato con Torn in veste di responsabile del mastering dei suoi lavori. David Torn è riconosciuto nell’ambiente per essere un musicista unico, dotato di un suono inconfondibile ed con una varietà di collaborazioni alle spalle che spazia da artisti come Don Cherry, David Bowie, Jan Garbarek, David Sylvian, Tori Amos, giusto per citarne alcuni. Come nessun altro ha raggiunto una capacità di creare un suono organico, attraverso una miriade di aggeggi elettronici a filtrare la sua chitarra. Lavorando spesso tra diversi generi contemporaneamente, e dedicandosi a produrre i lavori di altri, ha sviluppato una sintesi tra arte del loop e sonorità grezze, che ha raggiunto il suo picco con il disco pubblicato su ECM nel 2015 only sky.

Un altro lavoro ECM gioca un ruolo importante nella creazione di Sun of Goldfinger. È Snakeoil del 2012, un album che ha segnato l’arrivo ufficiale di Tim Berne nella casa tedesca con una nuova line-up, stavolta con alla batteria il giovane Ches Smith. In maniera simile a Torn, Tim Berne è riconosciuto come una figura di primo piano negli ultimi quarant’anni di scena jazz americana, in particolare newyorchese. Si è impegnato, sin dall’inizio della sua carriera, nello sviluppo della sua musica, piuttosto che nell’eseguire il repertorio standard o di altri contemporanei. Il suo obiettivo è stato sviluppare le timbriche del sax alto che, unitamente ad una visione dei cicli ritmici unica ed innovativa, ha reso i suoi lavori spesso ossessivi ed aggressivi. Mentre Sun of Goldfinger -inteso come il nome con il quale questo trio è stato conosciuto sin dal suo inizio- si è concentrato primariamente nell’attività dal vivo, il pubblico era rimasto a bocca asciutta sinora, aspettando un album, ma accontentandosi delle performance disponibili su YouTube. Questi video mettevano in mostra tre musicisti che si avventuravano in una area completamente libera, sovrabbondante di diavolerie elettroniche, luminescenti stranezze, atmosfere lattiginose e potenza tribale. È stato stimolante sin dall’inizio -dice Torn nelle parole del comunicato stampa. Ho coltivato un’amicizia con Tim sin dagli anni ’90, e suonare dal vivo con lui è sempre speciale. Ci spingiamo l’un altro in territori inesplorati. E quando abbiamo deciso che Ches sarebbe stato il batterista, allora ho pensato che era un musicista veramente speciale, esplosivo.

Il disco Sun of Goldfinger sembra essere un passo ulteriore in confronto a quello che Sun of Goldfinger, in quanto trio, aveva prodotto dal vivo sinora. Questo avviene sopratutto grazie alla decisione di non pubblicare una performance dal vivo così com’era, ma di legare fra loro tre tracce separate, da registrazioni differenti. David Torn, riutilizzando una pratica messa in atto nel sopracitato Prezens, ha riassemblato le parti improvvisate da diverse performance con lo scopo di creare un prodotto unico, ma con una narrazione peculiare ed unica alla base. Ed il disco non si focalizza solo sull’improvvisazione totale, cosa che è un tratto caratteristico del trio, ma include anche una parte orchestrata nella seconda traccia. Il pezzo iniziale, Eye Meddle, apre con due note che creano una figura ritmica, cosa che immediatamente crea una tipica atmosfera da David Torn. È una specie di struttura ricorsiva, usata dal chitarrista spesso all’inizio o alla fine delle improvvisazioni. Mentre Ches Smith produce un ritmo intenso con le percussioni sui timpani, Tim Berne sovrappone una serie di sopratoni da brividi, suonando l’alto alla maniera di un flauto. Poi torna sul registro grave, accennando un piccolo ritratto, fatto di poche note. Muovendosi in un territorio diverso da quello delle sue band abituali, il sassofonista si preoccupa meno di sviluppare le sue tipiche strutture fatte di ritmi contrastanti e saltellanti, come ad esempio fa con Snakeoil. Da, invece, più attenzione alla timbrica, in una maniera che sembra richiamare il lavoro fatto negli anni ’80. Berne è sempre stato interessato a contornarsi di chitarristi innovativi -Marc Ducret e Nels Cline per nominarne due-, ma David Torn è probabilmente quello che più si avvicina allo stile sfregiato e aggressivo di Bill Frisell, stile che si poteva ascoltare in Fulton Street Maul, lavoro del 1987, tra i più acclamati del sassofonista.

Oggi Berne e Torn si dedicano a sviluppare un cammino insieme attraverso tempistiche espressive più dilatate, si lasciano il tempo di raggiungere i punti cruciali, quasi con calma. Spesso non sentono il bisogno di suonare, ma magari di rimanere in disparte, centellinando con accuratezza ogni frase sullo strumento. Dando più spazio alla composizione istantanea, piuttosto che al solismo individuale, lasciano l’aspetto melodico e tonale a Ches Smith ed alle sue percussioni, paradossalmente. Il batterista ha coltivato un’esperienza ricca di band fra loro diverse e di tecniche molto differenti tra loro. Dopo aver studiato le poliritmie con Peter Magadini, oltre alle esperienze con i compositori Alvin Curran, Pauline Oliveros ed il chitarrista Fred Frith, ha ottenuto per caso il primo ingaggio importante. Durante una lezione con Winant è stato proposto per un tour con il gruppo di avant-prog Mr.Bungle. Questo ha poi portato all’ingaggio in un altro gruppo avantgarde, come i Secret Chiefs 3, ed, infine, con il chitarrista Marc Ribot. Ora è uno dei membri chiave della scena avantgarde del jazz ed ha varie band e lavori a suo nome, incluso uno con ECM, The Bell, pubblicato con Craig Taborn e Mat Maneri nel 2016. È tutto fuorché un musicista che sta in secondo piano all’interno delle dinamiche dei Sun of Goldfinger. Eppure trova proprio una sua nicchia quasi in secondo piano, pronto a riempire quel vuoto lasciato dagli altri due. Ha una varietà stilistica ed una cifra molto personale, mescolando ritmi rock con inaspettate sfumature etniche. Questo significa che è quasi impossibile definirlo o un batterista o un percussionista. È un musicista che ama piazzarsi al di fuori, farsi invisibile: eppure, fa cose che a nessun altro verrebbe in mente di fare.

A metà di Eye Meddle Smith alterna percussioni e rumori elettronici in maniera che è quasi impossibile distinguere quello che sta facendo lui e quello che, invece, sta facendo David Torn. Quando passa ad un ritmo martellante, che suona ancora più strano per via di un battito fuori posto, Berne ci suona sopra un ostinato ipnotico, capace di non fare altro che esaltare gli ululati della chitarra di Torn. Finché, intorno ai sedici minuti, il chitarrista da sfogo ad uno dei rari solo, fatti di pochi ed intensi riverberi, una specie di esplorazione delle capacità organiche dello strumento che ricorda quello che aveva fatto con only sky. Quando Berne rientra con una cascata ripetuta di note, Torn lo segue sulla falsariga, creando una interazione intima ed aggressiva allo stesso tempo.

In un’ intervista con Mark Sullivan di All About Jazz nel 2017, David Torn diceva di stare lavorando su due diversi lavori per ECM. Uno sarebbe stato il futuro Sun of Goldfinger, mentre l’altro doveva essere un album orchestrale. Il secondo sarebbe confluito, invece, in Spartan, Before it Hit, che è la seconda traccia dell’album. La scelta di aggiungere un elemento contenente scrittura, sottolinea ancora di più la natura unica dell’album rispetto alle performance dal vivo e, tuttavia, non compromette il continuum dell’improvvisazione. Mentre la traccia iniziale e quella finale sono completamente improvvisate, questa alterna improvvisazione a parti scritte. Al trio si aggiungono, per l’occasione, Mike Baggetta e Ryan Ferreira alle chitarre, Craig Taborn al piano ed un quartetto d’archi. Tutti loro si alternano allo scopo di rinforzare l’azione del trio, che rimane comunque sempre in primo piano. Il tema iniziale, relegato a Tim Berne, suona sulla progressione di accordi dell’orchestrazione in una maniera confidenziale ed appassionata al tempo stesso. Craig Taborn aggiunge una cadenza dal sapore cinematico, finché la traccia non evolve inaspettatamente in una sontuosa, affascinante progressione esotica. Questa contrasta in maniera stupenda con i timpani di Ches Smith e con gli ululati glaciali di Torn. Tim Berne sfodera tutta la sua energia, portando le capacità tecniche dello strumento al massimo livello, fino al punto in cui Torn non si unisce a lui in unisoni graffianti. Se il musicologo Stefano Zenni descriveva Berne con le seguenti parole: la plastica, mutevole narrazione formale di Tim Berne è una perfetta rappresentazione di ansie ed ambiguità del nostro tempo [Storia del Jazz, Stefano Zenni], allora, Sun of Goldfinger è una delle migliori descrizioni di questa rappresentazione. Quando, intorno agli otto minuti e mezzo, la tensione raggiunge il punto di rottura, uno stridio allucinante crea un improvviso terremoto. I dieci minuti seguenti sono più riflessivi, muovendosi interno uno scenario sottilmente inquietante ed appena percettibile, caratterizzato da occasionali lampi di suoni.

Un pattern ascendente ripetuto più volte da Tim Berne duetta con i rumori contorti ed i feedback di David Torn nell’apertura di Soften the Blow. Intorno ai sette minuti entra finalmente anche Ches Smith, creando le premesse per un ritmo sincopato che emerge su un soundscape fissato sullo sfondo. Ancora gli unisoni tra Torn e Berne emergono lenti, apparentemente dal nulla. Le grida della chitarra imitano quelle del sax alto e viceversa. Ognuno di loro mette se stesso fuori dalla zona di comfort, ed il trio evidentemente ne beneficia. In tutti i suoi venti minuti -tutte le tracce nel disco raggiungono questa ampiezza-, Soften the Blow è pervasa da una sfumatura etnica, capace di creare un’esperienza sonora unica. Capace di richiamare l’approccio free del Keith Jarrett American Quartet.

Sun of Goldfinger rinuncia volontariamente a qualunque sviluppo tematico o intento di utilizzare una narrativa basata su una struttura a priori, ma si arrende al flusso, creando un ritratto vivo e profondo delle dinamiche del gruppo. Se il tema centrale di questo trittico fa segnare una deviazione rispetto alle regole alla base del gruppo, con l’alternanza tra momenti aggressivi e delicati in Spartan, Before It Hit, eppure tutto questo da ancora più senso al filo rosso che sta sotto all’album. È un riconoscimento al lavoro che David Torn ha fatto in fase di missaggio, capace di far risplendere ancora di più, anzi ricreare da capo, l’improvvisazione del gruppo; ma anche è un riconoscimento a quello che questo trio può incredibilmente produrre.

David Torn, Tim Berne, Ches Smith
Sun of Goldfinger

1. Eye Meddle
2. Spartan, Before It Hit
3.Soften the Blow

David Torn: electric guitar, live-looping, electronics
Tim Berne: alto saxophone
Ches Smith: drums, electronics, tanbou.

With
Craig Taborn: electronics, piano
Mike Baggetta: guitar
Ryan Ferreira: guitar
Scorchio String Quartet:
Martha Mooke: viola/director
my Kimball: violin
Rachel Golub: violin
Leah Coloff: cello

ECM 2613

1 John Scofield, intervista in Miles Davis, by Luca Cerchiari, Mondadori