I creatori di spot pubblicitari devono conoscere bene i meccanismi dell’illusione ottica: quando vediamo una automobile di lato, ad una velocità costante ben precisa, le ruote ci sembreranno ferme. L’effetto visivo é noto come effetto ruota di carro e si può riassumere banalmente in questa maniera: il nostro occhio ha una capacità di campionamento di fotogrammi ben precisa. Quando si crea l’effetto, non percepiamo i ‘fotogrammi aggiuntivi’, quelli che ci mostrerebbero la ruota in due posizioni differenti e che ci farebbero percepire, quindi, il movimento. Si crea una ripetizione costante che ci intriga e questo vortice, quasi come fosse un buco nero, richiama un meccanismo ancestrale, perfetto per uno spot pubblicitario. La ripetizione crea un legame, non ci fa staccare dalla visione, crea qualcosa nello spazio tra noi e l’immagine. “La ripetizione non cambia nulla nell’oggetto ripetuto, ma cambia qualcosa nella mente di colui che lo guarda” (Deleuze, Difference and Repetition in Margulis, On Repeat, Oxford University Press).
Gli svizzeri Sonar lavorano alla creazione di questo spazio tra la musica e l’ascolto, tra la ripetizione e l’ascoltatore dal 2010. Lo fanno attraverso un sound fatto di chitarre pulite, pattern ripetuti all’estremo, groove lenti e sinistri, isomorfici, spogliati di quasi tutto il contenuto melodico. Il risultato é ipnotico, ancestrale, eppure cambia ad ogni ascolto, quasi come fosse la perfetta spiegazione della frase di Deleuze sopra. Una line-up composta dalle chitarre, rigorosamente accordato per tritoni, di Stephan Thelen e Bernhard Wagner a cui si aggiunge il basso di Christian Kuntner e la batteria di Manuel Pasquinelli. Nel loro quinto lavoro, Vortex che esce per RareNoise, hanno alzato l’asticella coinvolgendo un quinto membro nella loro band, ovvero David Torn, in veste sia di produttore che di chitarrista. Il risultato é riassunto nelle parole di Wagner: é come ‘se avesse aperto la gabbia ed avesse lasciato uscire un animale’. Sentiamo la musica dei Sonar come non l’avevamo mai sentita. Espansa, dilatata, amplificata: se prima ascoltavamo i Sonar in tre dimensioni, ora li ascoltiamo in quattro.
A cominciare da Part 44 che é originariamente un pezzo di Don Li, antesignano insieme a Nik Baertsch della scena postminimale svizzera. Il sassofonista porta avanti un’esplorazione di atmosfere minimali, eteree, meditative che vanno oltre il concetto di musica come prodotto dagli anni ’90. I Sonar hanno già collaborato in passato con lui, e ricontestualizzano il pezzo originario attraverso l’idea principale di far dialogare i pattern ritmici delle due chitarre in 7 con la ritmica sottostante in 3+3+3+3+2. Le chitarre costruiscono un layer al piano più basso dell’ascolto che da riscalto ai beat minimi, ridotti all’osso, per questo ancora più visibili, del basso di Christian Kuntner ed al playing sui piatti, abilmente posto in ritardo, di Manuel Pasquinelli. Ma gradualmente succede qualcosa. L’ingresso del soundscape di David Torn é quasi impercettibile, relegato sullo sfondo del mixing all’inizio, fatto di poche note. Diventa mano mano più visibile quando Stephan Thelen e Bernhard Wagner iniziano ad intrecciare le chitarre. A 2 minuti e 30 secondi il pezzo straripa nel primo gate, il primo cambio di ambiente tonale: dal Sol diesis, costruito sfruttando l’accordatura delle chitarre, si scende di una terza minore sotto; la tensione nell’ascolto viene rilasciata. Torn, che fino a questo punto ha dato sempre più corpo alla sua chitarra, aggiungendo linee di lead si fa gradualmente da parte. Il secondo gate, sempre una terza minore discendente, dimezza il ritmo. La tensione risale gradualmente con le chitarre che scompaiono negli armonici e l’attenzione si focalizza sulla sezione ritmica. Fino ad un nuovo assalto rumorista di Torn.
Part 44 é una montagna russa di alti e bassi, di tensioni, dove gli assoli di Torn sono smembrati da qualunque intento melodico, narrativo o funzionale allo sviluppo tematico. Anzi, sembra creare un layer ancora più basso sul quale vanno a risaltare gli altri quattro. Come viene indicato nel vastissimo lavoro di preparazione dell’album fatto da Anil Prasad su Innerviews e nelle video interviste con i membri della band -link in fondo, una delle principali domande sulla riuscita dell’album era proprio intorno al ruolo di David Torn. Leggendario chitarrista, primo erede dei loop dei Frippertronics negli anni ’80 e voce capitale della musica alternativa, strumentale e non solo, Torn ha alternato le sei corde con il lavoro al mixer. Dall’ultimo album con ECM, only sky, casa discografica per la quale pubblicherà ancora nei prossimi mesi, alle colonne sonore, alle collaborazioni, Tim Berne basta già da solo come biglietto da visita, ha un curriculum che racconta tanta storia della musica -senza aggiungere tags- e della chitarra degli ultimi decenni. Stephan Thelen arriva a lui su consiglio dell’amico Henry Kaiser, che da una registrazione del quartetto svizzero a Torn. Quest’ultimo é convinto immediatamente a produrli, magari con l’idea di aggiungere qualche chitarra in maniera casuale. Thelen e Wagner non nascondono la loro ammirazione per Torn. Il primo dei due farà uscire a breve il suo album solista Fractal Guitar con David Torn nella duplice veste sia di produttore che di ospite. Sia lui sia Wagner hanno sperimentato con i loops, con i soundscape, con l’effettistica in passato. Anche se questo aspetto ora é relegato in secondo piano nei Sonar. Pasquinelli e Kuntner, invece, non lo conoscono direttamente: eppure si crea immediatamente tra i quattro un’incredibile dinamica in studio che porta David Torn a suonare su tutte le tracce. Ma in ogni singola nota che il chitarrista americano suona, traspare il rispetto per la musica dei Sonar, la necessità di non snaturare, ma espandere il concetto del quartetto svizzero. Se possibile, é ancora più il produttore dell’album proprio nel momento in cui sta suonando, nonostante non sia fisicamente dietro al mixer.
La caratteristica dei processi musicali é che determinano simultaneamente tutti i dettagli nota per nota (suono per suono) e la forma globale (si pensi a un canone circolare o infinito). Mi interessano i processi percepibili. Voglio poter udire il processo nel suo svolgimento sonoro. Steve Reich, Writings on Music in Restagno, Reich [EDT]. La musica dei Sonar, oltre all’ovvio riferimento ai King Crimson degli anni ’80 e le loro interlocking guitars, é profondamente influenzata dalla progettualità di Steve Reich. Modulari come la musica di Nik Baertsch, anche loro partono da un pattern, da una concatenazione di ritmiche, per sviluppare il loro pezzo. L’elemento melodico nella loro musica é asservito a quello progettuale, una vera e propria architettura dello spazio musicale. Al momento della loro fondazione, nata dall’incontro di Thelen e Wagner, i quattro decidono di darsi delle regole ben precise: non si concedono assoli, scelgono qualunque metrica fuorchè il 4/4, suonano con una sonorità volutamente ripulita da qualunque effetto -al massimo una minima compressione necessaria sul pulito?-, hanno un approccio assolutamente democratico alla musica all’interno del quartetto. Ed a questa si aggiunge la scelta di sviluppare orizzontalmente, in maniera ipertrofica i pezzi, come il processo di musica graduale indicato da Steve Reich.
E poi arriva David Torn. L’ipertrofia orizzontale si aggiunge della verticalità espansa del vortice, dell’improvvisazione lacerante, dei soundscape infiniti, della distruzione della metrica e del pulsare ritmico. Al processo graduale che in sé contiene inizio e fine, stasi perfetta del tempo, si aggiunge l’intoppo, l’imprevisto che crea la narrazione. Perfetto esempio é Red Shift, che incidentalmente é anche il primo pezzo registrato dalla band in studio. Un muro di suono creato da 12 corde che suonano contemporaneamente un Fa diesis: sembra quasi di ascoltare una sinfonia di Glenn Branca suonata da un gruppo post-metal. Poi le due chitarre iniziano ad andare prima fuori fase e, quindi, ritornano all’unisono per un riff cattivamente metal, che manda la tensione alle stelle. L’ingresso dei frammenti atonali, amelodici di Torn butta ancora più benzina sul fuoco, se possibile, e ci trasporta nella seconda parte del pezzo: la calma é apparente, mentre tra feedback, riverberi e loops le linee del solo si aggiungono una sull’altra. Intervalli di seconda minore, quinta diminuita, oppure terza minore: non c’é melodia, solo puro istinto bestiale. Quando le due chitarre ritmiche rientrano riportando il potente accordo iniziale, Torn é ormai in estasi, volato via. La terza parta entra con uno stacco violento, quasi tematica, giocata su soundscape più eterei. Ci ritroviamo inaspettatamente di fronte alla melodia che conclude la narrazione con un’inaspettata catarsi.
Gran parte del lavoro di costruzione dei pezzi dei Sonar avviene attraverso un test che passa prima dal live. Una modalità compositiva che non a caso era alla base della line-up del 1972-74 dei King Crimson, la stessa creatrice di quella Fracture che Stephan Thelen non tarda mai a riconoscere come uno dei brani dal quale é stato maggiormente influenzato. E l’importanza della dimensione dal vivo é rimasta con il nuovo membro aggiunto. A seguito delle registrazioni di Vortex tra il 15 ed il 17 Febbraio del 2017, i 4+1 hanno continuato a suonare insieme: dal ProgDay dello scorso anno in North Carolina in cui avevano già anticipato parecchi pezzi ‘nuovi’, ai concerti che stanno precedendo l’uscita dell’album. Ed i pezzi in studio mostrano come la gabbia poliritmica dei Sonar abbia beneficiato del quinto membro. Come ad esempio nella potenza devastante sprigionata in Monolith soprattutto da Pasquinelli capace come non mai di mettere insieme patterns e potenza. Il brano inizia con un tipico crescendo della band, giocato tutto su riff costruiti sul tritono ed inquietanti battiti di basso, che poi viene amplificato, riverberato ed infine sciolto dall’interazione con David Torn. Oppure in Lookface!, brano completamente improvvisato, che parte da un ritmo ricco di devastante groove, per arrivare ad un plateau di calma e gesti minimi, che non avevamo mai sentito precedentemente dalla band svizzera.
Ritornando a Steve Reich ed alla musica graduale che determina in sè tutti dettagli dalla prima nota. Parte della hype con la quale Vortex é stato atteso era sicuramente legata alla presenza di un nome come David Torn al progetto Sonar. La band svizzera ha stabilmente conquistato credibilità negli ultimi anni, soprattutto nel pubblico prog. Ad un piano ulteriore, però, l’attesa era legata all’incontro tra un gruppo capace di elevare la struttura ritmica ad un livello superiore insieme ad uno dei più importanti chitarristi improvvisatori. Scrittura ed improvvisazione, nello stesso posto. La citazione precedente di Steve Reich é solo apparentemente contraddittoria in questa sede. Ogni pezzo di Vortex contiene in sè già tutte le note che si svilupperanno dall’interazione dei cinque: dai pattern chirurgicamente poliritmici di Pasquinelli, al basso spogliato all’estremo di Kuntner, agli intrecci vorticosi di Wagner e Thelen; e soprattutto fino ai soundscapes ed ai soli abrasivi e devastanti di David Torn. Questa musica comprende in sè sia la prevedibilità che l’imprevisto, in un incontro concettualmente impossibile. In cui già la prima nota sembra indicare l’ultima e tutte quelle che sono in mezzo, come in un’esposizione che più perfetta non poteva essere.
Sonar
Vortex
1. Part 44 – 9:56
2. Red Shift – 10:31
3. Waves And Particles – 7:49
4. Monolith – 10:47
5. Vortex – 9:37
6. Lookface! – 7:13
Stephan Thelen: chitarra
Bernhard Wagner: chitarra
Christian Kuntner: basso
Manuel Pasquinelli: batteria
David Torn: chitarra elettrica, Live-Looping & Manipulation
Advertisting copywriters are well aware of the mechanisms behind optical illusions: try to see a car on the side, at a given constant speed wheels will seem steady with no movement. The visual effect is known as wagon-wheel effect and can be described basically as follows: our eyes have a fixed frame sampling capability. Whenever this effect, audience does not perceive the ‘additional frames’, those that would show us the wheel in two different positions and that would let us perceive, therefore, the movement. It creates a constant repetition that intrigues us and this vortex, almost like a wormhole, brings an ancestral mechanism in, the ideal for an advertising movie. Repetition creates a bond, it binds us to the view, it creates something in the space between us and the image.
Gran blog! Complimenti! Two thumbs up! Andrea
Grazie Andrea! seguo da tanto il tuo sito, quindi é davvero un onore il tuo commento!