Perfect Beings – Vier [InsideOut 2018]

Perfect Beings – Vier [InsideOut 2018]

Feb 9, 2018 0 By Marcello Nardi

English version

La voce armonizzata a la Jacob Collier parte a cappella in un funky in 7/4, preparando il terreno al basso, che lavora lo stesso tempo con un pattern in 2+4+4+4 ricco di irregolarità e groove in stile Chris Squire. E poi a cascata un solo ricco di feel del sax soprano per nulla spaventato dagli accenti irregolari. E quindi uno stacco orchestrale su cui un cordofono disegna poche note. Che diventa un piacevole electro pop (ancora in 7), dove il cordofono dialoga con la voce. Come in un caleidoscopio, vediamo immagini che già riconosciamo ed in cui ci siamo già imbattuti, ma ricomposte in una maniera nuova e sempre diversa. Abbiamo già visto tutto, ma non riusciamo a staccarci, perché c’é un filo rosso che ci tiene li ad ascoltare dall’inizio alla fine. Sono i primi minuti di Vier, terzo lavoro della band prog californiana Perfect Beings, che scatena il gioco delle citazioni tra progressive più o meno sinfonico, art rock, inserti jazz mainstream, pop cantato e classica. In ogni momento, per parafrasare il libro di un critico d’arte contemporanea, sembra di poter dire ‘lo potevo fare anche io’: poi ascoltando più attentamente si capisce che nessuno l’aveva fatto ancora così.

Nati nel 2012 da una costola dei Moth Vellum, a cavallo tra prog e Aor -rimando a The Progressive Aspect– hanno all’attivo due album omonimi, prima di passare alla major del prog InsideOut proprio per Vier. Attraverso vari cambi di formazione, la band ruota attorno al chitarrista tedesco trapiantato negli Stati Uniti Johannes Luley, al tastierista Jesse Nason ed alla voce di Ryan Hurtgen. Per la registrazione sono accompagnati da Jason Lobell al basso, Brett McDonald ai fiati e Ben Levin alla batteria, che ha lasciato il gruppo subito dopo le sessioni per Sean Reinert dei Cynic (ex Death, Gordian Knot).

Nei primi due lavori la struttura preferita é quella della forme canzone ricca di arrangiamenti sopraffini, tipici della migliore scena new prog: la perfezione formale dei Big Big Train, i tocchi spaziali di Dave Kerzner Lonely Robot, l’equilibrio tra progressive e sintetizzatori contemporanei dei *Frost. Ma é evidente che le influenze vanno ai capisaldi Yes, Genesis e Pink Floyd. Vier spariglia le carte: registrato in un anno di lavoro, é organizzato su quattro facciate da doppio LP, ognuna dedicata ad una suite e divisa in parti –Vier significa ‘quattro’ in tedesco e olandese. Un formato che richiama alla memoria Tales of Topographic Oceans. Ma se l’album più discusso degli Yes espandeva ognuno dei pezzi in maniera ipertrofica, qui l’approccio é semmai l’opposto: le parti di ogni suite sono tracce separate. Ognuna é caratterizzata da una cascata ininterrotta di temi, melodie travestita da pop e solo apparentemente facili, a cui vengono concessi solo pochi secondi, prima di passare ad un’altra invenzione sonora. C’é raramente un momento di respiro, di stasi musicale, vanno sempre in cerca di una nuova atmosfera, senza mai perdere il filo rosso e l’equilibrio formale, senza mai neanche lontanamente eccedere verso l’eccesso di parti strumentali.

Così la prima suite Guedra passa dalla intro ad una sezione pianoforte e voce che, proprio nel momento in cui rischia di suonare zuccherosa, modula alla melodica minore e diventa un lento marziale, sinfonico nella parte Blue Lake of Understanding. La seguente Patience parte con un’intro beatleasiana, vira nel più classico progressive con synth in evidenza, e poi si tramuta nel piacevole tappeto conclusivo di Enter the Center in un ostinato in 9/8. Come racconta Johannes Luley in un’intervista a Nosefull, ogni suite ha la firma principale di uno dei membri della band: se Guedra era stata ideata da Ryan Hurtgen, la successiva viene dalla farina del sacco proprio di Luley.

The Golden Arc é una lunga suite orchestrale, che vale da sola il prezzo del biglietto dell’intero album e dimostra la capacità di arrangiamento e composizione avanzatissima della band. Il pianoforte porta una melodia sul Sol 7 minore fino all’ingresso del flauto dopo un minuto e trenta: entra il primo tema, una linea cromatica a la Debussy accompagnata da un ritmo terzinato da bolero. Si arriva ad un secondo tema portato dal synth intorno ai tre minuti, ricco di salti e più atonale. Il mood rimane quieto mentre il secondo tema viene concluso da una misteriosa scala diminuita. Un soave valzer, che riprende il terzinato del bolero, accompagna l’ingresso della voce per poi sfociare nella burrascosa ripresa del secondo tema. Ancora la voce di Hurtgens chiude in maniera misteriosa The Persimmon Tree. La seguente sottotraccia Turn the World Off riparte dal secondo tema, stavolta con la band in aggiunta all’orchestra, e attraverso una pogressione sempre più scura arriva ad un aggressivo finale. Mike Oldfield é un riferimento costante ogni volta che si parla di prog sinfonico, ed ovviamente non manca il confronto neanche qui. La voce di Hutgens, pulita, melodica e duttile, stavolta richiama Jakko Jakszyk; paragone tanto appropriato visto che Luley indica la formazione attuale dei King Crimson come fonte di ispirazione, come una vera e propria ‘orchestra moderna’. La successiva parte della suite, America, richiama il primo tema e lascia spazio ad un solo sanguigno e viscerale, che mi richiama alla mente Gary Moore e Neal Schon, prima della conclusione corale di For a Pound of Flesh.

Jesse Nason mette la firma sulla suite Vibrational, più ricca di synth e di atmosfere che richiamano i Tangerine Dream e le atmosfere new age. Un punto di riferimento potrebbe essere il primo Vangelis più prog o Olias of Sunhillow di Jon Anderson. E la quarta suite Anunnaki mischia insieme tutti gli elementi precedenti, dal pompatissimo dialogo tra orchestra e tastiere in Pattern of Light o la deliziosa ballad a la Nick Drake di A Compromise.

Il gioco delle citazioni e del cosa-ricorda-cosa con i Perfect Beings é inevitabile. Ma con Vier fanno il salto di qualità: ogni melodia modula ad una nuovo melodia quando meno ce lo si aspetta e quando tutto sembra diventare prevedibile. Un lavoro travestito di semplicità ed immediatezza, che più che attirare l’ascoltatore sembra quasi ingannarlo. Appena ci si aspetta che la musica ci porti in una direzione, allora ne prende l’altra. Il tutto attraverso un tema conduttore sotterraneo che lega in maniera perfetta Vier.

Perfect Beings
Vier
1. Guedra 00:18:23
2. The Golden Arc 00:16:47
3. Vibrational 00:18:17
4. Anunnaki 00:18:42

Ryan Hurtgen (Vocals, Piano)
Johannes Luley (Guitar, Bass, Produktion)
Jesse Nason (Keyboards)
Ben Levin (Drums)

English version

Enter a solo Jacob Collier-like harmonized voice rolling a 7/4 funky rhythm, preparing the ground for the bassline, which counterpoints the metric with a 2 + 4 + 4 + 4 pattern full of irregularities and groove, much like in Chris Squire style. Following a cascading groovy solo by soprano sax, which does not feels any pressure of irregular accents. Then an orchestral break on which a string instrument draws a few notes. Which incidentally becomes a fancy electro pop (still in 7) that paves the road for the string instrument interacting with voice. As in a kaleidoscope, we see images that we already know and we already seen before, but recomposed in a new and continuously different way. We have already met everything, but we can not detach ourselves, because there is a red thread that keeps us there to listen from beginning until the end. These are the first minutes from Vier, third album by Californian proggers Perfect Beings, which starts a game of quotations about influences between more or less symphonic progressive, art rock, mainstream jazz inserts, pop and classical pop. At any moment, to paraphrase the book of a contemporary art critic, it seems we can tell ‘I could do it too’: then, listening more carefully, we understand that nobody had done it that way before.

Born in 2012 from prog and Aor influenced Moth Vellum -check The Progressive Aspect– they produced two omonymous albums, before signing with prog master label InsideOut for Vier. Through various line-up changes, the band’s core is made by German-born, but US living guitarist Johannes Luley, keyboardist Jesse Nason and singer Ryan Hurtgen. For this recording they are supported by Jason Lobell on bass, Brett McDonald on the winds and Ben Levin on drums, who left the band immediately after the sessions for Cynic‘s Sean Reinert (formerly as well in Death, Gordian Knot).

In first two albums they preferred standard song structure enriched with superlative arrangements, typical of the best new prog scene: recalling formal perfection by Big Big Train, spatial atmospheres by Dave Kerzner and Lonely Robot, balance between progressive and contemporary synth sounds by * Frost. But it is clear that the influences go to the former Yes, Genesis and Pink Floyd. Vier mixes the ground: recorded in a year of work, it is made of a double LP four sides, each dedicated to a suite and divided into parts –Vier incidentally meaning ‘four’ in German and Dutch. No surprise that the format quotes Tales of Topographic Oceans. But if Yes‘s most discussed album expanded each of the pieces in a gigantic way, here the approach is the opposite: each suite is made of separate tracks. Each is characterized by an uninterrupted cascade of themes, melodies masked as pop and only seemingly easy, which are only given a few seconds before moving on to another sonic invention. There is rarely a moment of breath or musical pause, they always go in search of a new moods, without ever losing the red thread and the formal balance, without ever exceeding the excess of instrumental parts.

Initial first suite Guedra moves from the intro to a piano and voice section that, just in the moment when it is becoming mellow, takes a modulation through the minor melodic scale and becomes a martial and symphonic slow tempo in the Blue Lake of Understanding. Following piece Patience starts with a Beatles intro, turns into a classic progressive track with synths over the top, and then turns into the pleasant ending soundscape of Enter the Center in a 9/8 ostinato. As Johannes Luley indicates in an interview with Nosefull, each suite has the main signature of one of the band members on it: if Guedra was drafted by Ryan Hurtgen, the next comes from Luley‘s own writing.

The Golden Arc is a long orchestral suite, which alone is worth the ticket price of the whole album and demonstrates how the band is advance in arranging and composition ability. The piano brings a melody on the minor G7 until flute’s entrance after a minute and thirty: enter the first theme, a colorful melody in the style of Debussy over a bolero rhythm. Then the second theme brought by the synth around three minutes, more inclined to intervals and atonality. Mood remains quiet, while second theme is ending in a mysterious diminished scale. A gentle waltz, which takes up the three against two rhythm of bolero, accompanies voice entrance and then flows into the stormy ending of the second theme. Again the voice of Hurtgens mysteriously closes The Persimmon Tree. The following sub-track Turn the World Off starts from where the second theme ended, this time including the band in addition to the orchestra, and through an increasingly dark pogression arrives at an aggressive final. Mike Oldfield is a constant comparison every time symphonic prog is mentioned, and obviously here too. Hutgens‘s voice is now clean, melodic and ductile, this time recalling Jakko Jakszyk; comparison sounding as much as appropriate since Luley indicates the current lineup of King Crimson as a source of inspiration, like a real ‘modern orchestra’. The next part of the suite, America, moves back to the first theme and opens the curtain for a bloody and rich guitar solo, which reminds me much of Gary Moore and Neal Schon, until the whole-band coda in For a Pound of Flesh.

Jesse Nason puts his mark on Vibrational suite, rich of synths and Tangerine Dream, new age atmospheres. A comparison to be made with Vangelis early prog or Jon Anderson‘s Olias of Sunhillow. And the fourth suite Anunnaki mixes all the previous elements together, like the supergroovy dialogue between orchestra and keyboards in Pattern of Light or the delicate nickdrakey ballad in A Compromise.

The finding the quotations and what-recalls-what game with Perfect Beings is inevitable. But Vier is a leap forward: every melody modulates to a new melody, when you least expect it and when everything seems to become predictable. A work disguised as simple and immediate, which, rather than attracting the listener, seems almost to deceive him. As soon as music is expected to take us in one direction, then it takes the other. All this through an subterrean theme that perfectly binds Vier‘s superb quality.

Perfect Beings
Vier
1. Guedra 00:18:23
2. The Golden Arc 00:16:47
3. Vibrational 00:18:17
4. Anunnaki 00:18:42

Ryan Hurtgen (Vocals, Piano)
Johannes Luley (Guitar, Bass, Produktion)
Jesse Nason (Keyboards)
Ben Levin (Drums)