Quando nel settembre del 2012 Steve Vai si presentò in copertina su Guitar World con lo shredder emergente Tosin Abasi, sembrò un tentativo di portare un pò di aria fresca. Finiti i fasti degli anni ’80 e ’90, la chitarra elettrica aveva -secondo alcuni- perso di blasone, aveva meno appeal sulle nuove generazioni, nonostante l’esplosione di tanti shredders su YouTube, era -discutibilmente- meno capace di creare qualcosa di nuovo. Eppure lo sciamano italo-americano non aveva dubbi: la chitarra sarebbe stata lo strumento del futuro. Sentendo Tales from the Dreaming City di Mark Wingfield é facile dargli ragione e credere che la chitarra può ancora rivelare pianeti del sistema musicale dei quali non sapevamo l’esistenza. Il chitarrista inglese sembra poco interessato a quello che succede nel 21esimo secolo, quanto più é impegnato a proiettare lo strumento nel 22esimo. Sotto le melodie scintillanti, le armonie misteriose, le grida quasi-umane della sua chitarra si nasconde, visibile a chi ha la curiosità di ricercarla, una ricerca che sta spingendo i confini dello strumento in maniera vertiginosa verso ed oltre il futuro. Attraverso un uso della tecnologia decenni luce avanti rispetto al resto del mondo coniugato con una melodicità che sembrava dimenticata sulla sei corde, crea una musica mista di magia e mistero, ci trasporta all’interno di un film di David Lynch, e lui ne é il regista.
Mark Wingfield é al settimo lavoro solista e due ne ha firmati con la MoonJune. E’ ormai diventato un uomo di punta dell’etichetta di Leonardo Pavkovic, collaborando regolarmente con Dwiki Dharmawan, Markus Reuter, Yaron Stavi e Asaf Sirkis. Gli ultimi due, dopo Proof of Light (2015), lo accompagnano anche su questo lavoro. A queste collaborazioni si aggiungono quelle nate in precedenza con Ian Ballamy, Jeremy Stacey, René von Gruning, Christian Kuntner. Ed, infine, i sei album in completa improvvisazione con Kevin Kastning. Wingfield Si divide tra la ricerca di un suono alieno sulla chitarra ed il lavoro dietro al mixer, che l’ha portato a sviluppare un’attenzione maniacale per il dettaglio. Ripercorrendo la sua carriera é facile intravedere un suono inconfondibile, ma soprattutto una continua ricerca nello studio dello strumento. Tales from a Dreaming City, costruito attorno al trio con Yaron Stavi al basso ed Asaf Sirkis alla batteria, oltre che gli inserti alle tastiere di Dominique Vantomme, é composto da una serie di storie. Un concept raccontato attraverso le melodie ed i soli. Con le parole di Wingfield stesso: se Proof of Light era una raccolta di pezzi che avevo scritto in quel momento, Tales from the Dreaming City é più un concept album. E’ un insieme di pezzi che hanno un ispirazione comune, un album di storie musicali. Per me, queste storie riguardano un momento o un evento nella vita di qualcuno, o un momento condiviso da un gruppo di persone. Un lavoro piacevolmente a cavallo tra melodicità sobria à la ECM, accenni di soundscapes che richiamano la fusion e progressioni armoniche sorprendenti, influenzate più dalle orchestrazioni contemporanee di musica tonale, piuttosto che dallo standard dei lavori in trio jazz.
L’apertura di Tales from the Dreaming City é un manifesto della chitarra del 22esimo secolo. La melodia iniziale di The Fifth Window si inerpica su una progressione capace di modulare in maniera imprevedibile, prima di una cascata sulla scala diminuita. Le note sono cariche di passionalità e lacerazioni attraverso bending, microintonazioni -magari mutuate dalla musica indiana, uno dei suoi interessi- ed un uso della barra del vibrato che farebbe impallidire le ere dei ponti Floyd Rose anni ’90. Ogni nota é un mondo a sé stante, porta a galla la devastazione di un sentimento viscerale, che nasconde la freddezza tecnologica degli algoritmi dei filtri che l’hanno processata. Tocco ed effettistica raggiungono un’unione superiore: ideale unione di carne e macchina, senza soluzione di continuità. Una ricerca tecnologica sugli effetti, ma sopratutto sulle tecniche base della chitarra: la maggior parte dei suoni non usuali che ottengo vengono dalla maniera in cui suono. Uso molti legato, attacchi, vibrati e bending non comuni. Spesso mi capita di non suonare alcuna nota in maniera normale. E per il fatto che non uso il fraseggio standard e mi concentro nel creare suoni differenti con le mie dita, sembra come se stessi suonando una chitarra modificata o filtrata da una marea di effetti, quando in realtà non lo é.
Quando entriamo nel primo solo di The Fifth Window le note rimangono sospese in uno spazio tempo alternativo: la nota iniziale é mantenuta per sette lunghissimi secondi -Mark utilizza un sustainer aggiunto alla sua chitarra. Poi é variata di intonazione attraverso la barra del vibrato, che sembra avere la possibilità di raggiungere qualunque nota e qualunque cambio di accordi. Ogni volta che Wingfield sembra essere sul punto di andare fuori tono, ecco che ci rendiamo conto che é sempre nel pitch. Beck, Rypdal e Hendrix fanno capolino quando si pensa all’uso dell’intonazione dell’intonazione sulla chitarra; ma é soprattutto l’esempio degli strumenti a fiato e di quelli etnici ad ispirare il chitarrista inglese. Mark Wingfield, infatti, non nasconde di avere smesso da tempo di ascoltare la musica prodotta da altri chitarristi, quanto di lasciarsi influenzare più dalla tromba, dall’oboe, dalla voce, o magari dalla musica etnica e classica. Un processo di sedimentazione di inflessioni nuove, che sta alla base della sua capacità di ripensare il suono dello strumento dalle radici. Queste influenze ricompaiono innestate, tritate, fermentate nel suo suono da strumento alieno.
Macchina e cuore: il lavoro sulla sei corde sembra essere al centro della convergenza tra manipolazione tecnica del suono e capacità visionaria di vedere armonia e melodia insieme. Insomma, all’incrocio tra Eivind Aarset e Allan Holdsworth. La chitarra di Tales from the Dreaming City non é solo la continuazione di ciò che abbiamo sentito in Proof of Light: andiamo perfino oltre la dimensione del suono umanizzata, sfrangiata, urlata, capace di imitare le fluttuazioni della tromba, gli acuti della voce o la fluidità del sarangi indiano. Il solo finale di The Fifth Window é un capolavoro di chitarra del 22esimo secolo. Una melodia ascendente poi discendente, nervosa, una forza della natura raddoppiata da un geniale loop creato live da Wingfield. Le due chitarre, che sembrano quasi dialogare tra loro, riprendono parte delle linee melodiche nella parte precedente del pezzo oppure si alternano all’unisono o in ritardo attraverso l’uso del delay. Si inerpica sui tasti più alti, aggiunge la leva del vibrato con slides o colpi secchi e feroci. I filtri sembrano esplodere in un wah wah sintetico, le due linee di chitarra si rispondono e cadono su un marasma di massa informe di suono. Una conclusione devastante da strappare il cuore.
Tales from the Dreaming City si distanzia dal precedente album anche per la capacità di creare un suono ancora più omogeneo, che allo stesso tempo richiama tante influenze: fusione di stili, piuttosto che fusion. Dice Wingfield: non lo inserirei in nessuna categoria. La maggior parte delle tracce sono basate strettamente su melodia centrale e progressione armonica. Per me quest’approccio melodico ha qualcosa in comune con il liricismo pastorale di molti album jazz ECM e dal punto di vista armonico é a metà strada tra questo e la musica classica. Ma c’é anche una forte componente improvvisativa. Il sound ECM anni ’70/ ’80 e la musica classica: l’aspetto modale, asciutto, misterioso, sobrio e mai appariscente che ha caratterizzato l’etichetta tedesca insieme a soundscapes che richiamano orchestrazioni spesso sontuose, fatte da ricchissimi accordi che, grazie agli effetti, si estendono oltre le sei note massimo permesse dallo strumento. Ascoltando il bridge di This Place Up Against The Sky é impossibile non ripensare al sound che ha contraddistinto il jazz europeo dagli anni ’70 in poi: i piatti cristallini di Asaf Sirkis, la progressione armonica di Mark Wingfield che viaggia attraverso una serie di modulazioni misteriose a fare da sfondo al lirico solo di basso di Yaron Stavi. I Colours di Eberhard Weber oppure il Terje Rypdal di Waves tra le varie citazioni che vengono alla memoria. I tre interagiscono ad un livello così celestiale da cancellare qualsiasi differenza tra parti composte ed improvvisate nella magia del momento.
Se Yaron Stavi é un compagno di lunga data di Wingfield, Asaf Sirkis, invece, ha iniziato a collaborare con lui in Proof of Light. Ne é nata immediatamente una sinergia, una capacità telepatica dei tre di dialogare in contesti completamente destrutturati. Prendendo ad esempio At a Small Hour of the Night dove il trio gestisce una massa magmatica ed informe di suono per farla diventare musica. Un soundscape dal sapore vagamente modale, aperto da una frase della chitarra che prima scende e poi sale in un botta e risposta armonioso con il basso. Wingfield si ferma progressivamente sulle tensioni e sugli intervalli più sospesi e Sirkis puntella in maniera magistrale la tensione. Nella parte centrale Stavi é relegato nel registro più basso, tutto é rallentanto in una sospensione dello spazio tempo dove Wingfield gestisce sia il tappeto sonoro sia i guizzi minimali dello strumento con incredibile facilità. Il tempo si sospende. Analogamente nel finale di A Wind Blows Down Turnpike Lane, un pezzo portato da un groove solido in mid-tempo, come in molti pezzi dell’album, e con una melodia riconoscibile e trasportante. Il minuto e mezzo di coda del pezzo in solo di Wingfield é fatto da grida lancinanti tra slides aggressivi o acciaccature, vibrati e leva che va su e giù capaci di tenere con il fiato sospeso chiunque.
Mark Wingfield attira tanti paragoni, ma non c’é nessuno che vada bene abbastanza. Forse é la sua capacità di raccontare storie e di dar forma a melodie inusuali e lontane con grande semplicità, uno storyteller da poche note. Less is more, con questa frase il chitarrista inglese ha ricordato la sua ammirazione per il compianto John Abercrombie e per la sua impareggiabile capacità di creare un mondo con così poco. Se il suono di Wingifield sembra così lontano da Abercrombie, é invece vicinissimo per la semplicità delle storie che racconta. Come Looking Back At The Amber Lit House, quasi una ballad tenera e misteriosa, costruita attorno ad una melodia semplice e sofisticata allo stesso tempo. Il solo di Dominique Vantomme giocando su una nota ripetuta allo spasimo -come sapientemente ha dimostrato di saper fare il tastierista belga in Vegir– racconta con maestria metà della storia che Wingfield amplia nel successivo solo. Non sembriamo sentire i cambi di accordi, quanto una melodia che veleggia, evocando nuove emozioni ad ogni tocco. In Tales from the Dreaming City la musica racconta una storia specifica che ho composto. Quando suoniamo questa musica l’obiettivo é di interpretarla con l’intenzione di raccontare quelle storie dal punto di vista musicale ed emozionale al meglio. Quando si arriva al solo, c’é l’opportunità di espandere la storia, di improvvisare nel momento in cui la composizione lo sta raccontando.
Tales from the Dreaming City é una ricerca emozionale, quasi una scienza delle emozioni, un viaggio nella scoperta di possibilità nascoste: le possibili esplorazioni di uno strumento che ha ancora tanto da rivelare, le possibilità nascoste in melodie semplici eppure inaspettate. Se provate a chiedere a Leonardo Pavkovic cosa pensa di Mark Wingfield, vi dirà che non ha ancora fatto sentire metà di quello che sa fare. Ascoltando ciò che ha già fatto, sembra incredibile pensare che ancora ci sia tanto da scoprire. Eppure, se Tales from the Dreaming City rappresenta un salto quantico, viene da pensare che altri mondi siano possibili e la ricerca di Mark Wingfield sia appena all’inizio.
Tales from the Dreaming City
Mark Wingfield
1. The Fifth Window 05:09
2. I Wonder How Many Miles I’ve Fallen 07:19
3. The Way To Hemingford Grey 05:54
4. Sunlight Cafe 05:57
5. Looking Back At The Amber Lit House 06:47
6. This Place Up Against The Sky 05:46
7. At A Small Hour Of The Night 08:03
8. A Wind Blows Down Turnpike Lane 04:27
9. Ten Mile Bank 05:36
10. The Green-Faced Timekeepers 07:52
MARK WINGFIELD guitar, soundscapes
YARON STAVI fretless bass guitar
ASAF SIRKIS drums, konakol singing (10)
special guest DOMINIQUE VANTOMME synth soloist (3, 5, 9, 10)
MoonJune Records
RIFERIMENTI
Intervista All About Jazz di John McGuire
Intervista Innverviews di Anil Prasad 2010
Intervista Innverviews di Anil Prasad 2015