Jamie Saft – Solo a Genova [RareNoise 2018]
Poche note, metalliche, suonate da dentro il pianoforte a creare un’atmosfera appena percettibile ed atonale, giocate sui registri più basso e più alto. Poi una scala guida fino all’accordo cadenzato, a ritmo andante: é il preludio al tema grave e solenne, che ti prende fino alle viscere di Sharp Dressed Man, classico degli ZZ Top, risuonato da Jamie Saft al pianoforte. Un solo accordo minore, pieno, che risuona nella sala da concerto, gioca sulla 5a blues e ne tira fuori l’essenzialità. Il registro più basso della tastiera ci prende l’anima, non c’é davvero bisogno di dire altro. Non c’é inizio, non c’é preparazione: iniziamo direttamente dalla fine. Non c’é bisogno di altro. Quello che c’é da dire é tutto lì.
E’ il tempo morto, definizione che lo psicologo Michel Imberty utilizza per indicare il cambiamento epocale del Das Lied von der Erde di Gustav Mahler rispetto al passato: ‘Il tempo morto é qualcosa come la prescrizione del tempo. Per un momento il tempo non esiste più, in altre parole non vi é più cambiamento, movimento. Vi é disinvestimento psichico. La voce che canta in questo vuoto sembra senza timbro, cioè senza individualità, é una voce neutra, senza passato, senza avvenire’ [Imberty, La musica e l’inconscio, in Enciclopedia della Musica]. Jamie Saft opera per la maggior parte del tempo di Solo a Genova in questo spazio vuoto, pieno di densità romantica e sospensione del tempo. Un live in cui suona il Great American Songbook che spazia da Bob Dylan, Joni Mitchell, Stevie Wonder e ZZ Top fino a Charles Ives e gli standard Naima o Blue in Green, oltre a pezzi a sua firma.
Una delle cose che sembra sempre essere sul punto di mandare su tutte le furie Jamie Saft durante un’intervista é essere costretto a parlare per generi o a distinguere tra musica alta e musica bassa. Ha studiato pianoforte e tastiere, passando da un’educazione classica al jazz con Paul Bley, Geri Allen, Joe Maneri. Ma é cresciuto nella Brooklyn degli anni ’80, dove melting pot é diventato una parola riduttiva -perfino ingenua- per esprimere la potenza dell’incrocio di culture. E’ nato nella Radical Jewish Culture (RJC) e nella musica klezmer che omaggerà nei primi due album a suo nome, ma che sarà solo una delle influenze nella sua carriera accanto a jazz, dub, metal, soul, e mille altre etichette in oltre 160 album. Il momento chiave della sua carriera é la conoscenza con John Zorn e la Tzadik negli anni ’90, dalla quale nasce un lungo sodalizio che lo porta a suonare con tutta l’avanguardia newyorchese. Da li iniziano le formazioni Electric Masada, Jamie Saft Trio, New Zion Trio [All About Jazz]. Qui può compiere esplorazioni tra pianoforte acustico ed elettrico, synth, elettronica, noise. Sviluppa un sound feroce e cristallino allo stesso tempo, tra virtuosismo classico, inflessioni jazz e scale klezmer, utilizzando soprattutto il pianoforte elettrico.
Un altro sodalizio che diventa poi importante nella sua carriera é quello con l’etichetta RareNoise di Giacomo Bruzzo, dove si trova a suo agio nel proporre idee coraggiose, inaspettate. L’inizio é con un lavoro complesso e difficile come Metallic Taste of Blood con Eraldo Bernocchi, poi collabora con Wadada Leo Smith – il loro Red Hill del 2014 é uno dei lavori di improvvisazione free più bello degli ultimi anni!- con il compianto Roswell Rudd, con Bobby Previte e Steve Swallow. Suona con gli ultimi due nel New Standard Trio e sforna uno dei lavori più soprendenti del 2017, Loneliness Road, con alla voce il più inaspettabile dei crooner, ovvero Iggy Pop. Nella sue discografia sterminata compaiono tributi a Bob Dylan, che insieme a Joni Mitchell ed agli ‘Itals’ (Sinatra, Dean Martin) é uno dei suoi amori più grandi, un lavoro folk in duo nel quale suona la lap steel guitar, suoni doom-metal accanto al soul, il noise -per non dimenticare Merzbow tra le collaborazioni.
E’ quasi sorprendente pensare che solo oggi abbia registrato per la prima volta un lavoro in solo pianoforte. Registrato il 3 marzo del 2017 al Teatro Carlo Felice di Genova, in realtà, come racconta Saft, l’idea parte da lontano: “Avevo concepito un recital per piano la prima volta nel 2007, su invito del mio caro amico Giuseppe Vigna ad eseguire questo tipo di concerto a Firenze. Era un momento molto difficile per gli Stati Uniti, una fase in cui per me era importante riuscire a presentare la musica americana contemporanea come esempio di arte positiva, arte che aveva lasciato un segno nel mondo, che aveva retto a fasi di odio e negatività, che aveva promosso un percorso di crescita per il genere umano”.
E la tracklist della serata riflette questa scelta. Pur alternando le strutture melodiche apparentemente facili come The Makings Of You di Curtis Mayfeld o Overjoyed di Stevie Wonder agli standard jazz e classici, crea un’atmosfera di continuità inaspettata, un ideale filo rosso che collega tutti lavori tra loro. Sembra sempre tenerci in equilibrio, sospesi tra il pubblico, con un lirismo aperto, cantato. Come fosse un inno che richiama la tradizione classica americana di Copeland, l’american songbook, con i suoi grandi spazi aperti e sconfinati. E nel frattempo non perde mai il rispetto per la cover, un atto d’amore nei confronti della musica, di cui non cerca come farebbe Brad Mehldau, la vivisezione nel significato estremo, ma si limita a portarne fuori il cuore, con atteggiamento di umiltà estrema. Ne é un esempio Overjoyed, posta in maniera interessante dopo la grave Sharp Dressed Man. Sembra sempre evitare qualunque rischio di banalizzazione o di protagonismo sul brano, suonato per far sentire fino in fondo la forza cristallina dello Steinway Model D: “Le canzoni di Stevie Wonder sono basate su una architettura molto forte e profonda, per questo non ho sentito la necessità di trasformare questo brano. Quello che desideravo era ricreare la positività e la speranza di cui Overjoyed è intrisa, il mio è un omaggio molto rispettoso e umile ad un vero capolavoro della musica popolare moderna”.
Eterno termine di paragone dello strumento da solo, é perfino banale prenderlo ad esempio a volte, ma c’é un Keith Jarrett che viene richiamato da Jamie Saft. Complice una registrazione cristallina, quasi ECM, tante volte sembra di sentire il Jarrett della fine degli anni ’80 inizio anni ’90. E’ il periodo nel quale suona per l’ultima volta in set lunghi da oltre trenta minuti ed esplora strutture improvvisative più lunghe, riflette sull’elemento melodico con una qualità diversa, più ragionata e più di cuore allo stesso tempo. Parole che potrebbero essere applicate a Saft mentre suona Human di Jimmy Jan e Terry Lewis fusa con la sua Gates: il lavoro sul registro basso, le acciaccature sui passaggi melodici, l’uso del pedale per far risuonare gli accordi e gli arpeggi sembrano sempre al servizio di un lirismo estremo e profondo, che potrebbe essere uscito dai momenti più intensi del Vienna Concert.
Così anche lo standard di Coltrane Naima ci sorprende con una cascata virtuosistica di arpeggi. Saft non ha alcuna intenzione di variare il senso armonico del pezzo, ma riflettere sulle mille sfaccettature della melodia e farla risuonare il più possibile. Arpeggi romantici che ritroviamo nella torrenziale New Standard, title track del suo album con Swallow e Previte, qui resa mostrando all’estremo la preparazione classica di Saft. Ed il passaggio a Pinkus, altro brano della sua discografia, stavolta da Caliwa del New Zion Trio, mantiene questa venatura da romanticismo ottocentesco, seppure fortemente venata di blues, piena di accordi picchiati fortemente e cascate di note.
Accanto a questi momenti compare The Houseatonic At Stockbridge del compositore di inizio novecento Charles Ives, nel quale restituisce un’atmosfera di mistero e giocosità allo stesso tempo. Le parole di Saft ci introducono: “Ho lavorato su questo brano per decenni e ancora ho la sensazione di averne appena grattato la superficie. Come studente del grande compositore e clarinettista Joe Maneri a Boston negli anni ’80 mi veniva spesso richiesto di lavorare su autori come Schumann e Schubert, ma non riuscivo davvero ad entrare in sintonia con la loro musica. Mentre con Ives riuscivo. Un autore per me rivoluzionario che ha esplorato i microtoni, le dissonanze armoniche e la coesistenza di diverse trame musicali sullo stesso piano, anticipando di decenni molte evoluzioni. La sua musica si esprime nelle forme classiche europee ma con una prospettiva tipicamente americana e una profonda comprensione della manipolazione del suono. Per me è uno de più grandi compositori di tutti i tempi.”
Jamie Saft regala un solo intenso, un tributo umile nel senso più profondo della parola: in ogni momento non sembra che stia suonando, ma che stia ascoltando i suoi pezzi preferiti, quasi li avesse messi sul vinile li di fronte a noi e ne stessimo parlando. Stiamo lì insieme a lui e ci dice quanto é bella questa musica.
Jamie Saft “Solo a Genova”
01. The Makings Of You (Curtis Mayfeld)
02. Human / Gates (Jimmy Jam – Terry Lewis / Jamie Saft) 03. Naima (John Coltrane)
04. Sharp Dressed Man (ZZ Top)
05. Overjoyed (Stevie Wonder)
06. Po’ Boy (Bob Dylan)
07. The New Standard / Pinkus (Jamie Saft)
08. Blue Motel Room (Joni Mitchell)
09. The Houseatonic At Stockbridge (Charles Ives)
11. Blue In Green (Miles Davis/Bill Evans)
12. Restless Farewell (Bob Dylan)
A few metallic notes played from inside the piano to create a barely hearable and atonal atmosphere, on the lowest and highest registers. Then a scale guides us through a slowpace andante: this is the prelude to the serious and solemn theme of the ZZ Top anthemic piece Sharp Dressed Man, which I feel in the gut while Jamie Saft plays it at the piano. An overflowing minor chord, resonating in the concert hall, fiddling with the 5th blues note and tearing out its fundamental essence. The keys on the lower registers take out our soul, there is really nothing else to say. There is no beginning, there is no preparation: we start immediately from the end. There is nothing else to say. Everything is all there.
This is the dead time, a definition psychologist Michel Imberty uses to define the era changing move in Gustav Mahler‘s Das Lied von der Erde in comparison to the past: ‘Dead time is something like the prescription of time. For a moment time does not exist anymore, in other words there is no more change, movement. There is psychic disinvestment. The voice singing in this void seems without timbre, without individuality, it is a neutral voice, without a past, without a future ‘[Imberty, The music and the unconscious, in Enciclopedia della Musica]. Jamie Saft works for the majority of Solo A Genova in this empty space, full of romantic density and suspension of time. A live dedicated to Great American Songbook, ranging from Bob Dylan, Joni Mitchell, Stevie Wonder and ZZ Top to Charles Ives and the Naima or Blue in Green standards, as well as some of his own tracks.
One of the things that always seems to be about to rage Jamie Saft during an interview is to be forced to speak about genres or to distinguish between high and low music culture. He studied piano and keyboards, receiving both a classical and jazz education, the latter with such teachers as Paul Bley, Geri Allen, Joe Maneri. But he grew up in the ’80s Brooklyn, where melting pot has become a reductive word – even naive – to express the means of the interchanging cultures. He was born in Radical Jewish Culture (RJC) and in klezmer music, he will homage in the first two albums at his own name. But that will be just one of the influences in his career alongside jazz, dub, metal, soul, and a thousand other tags in more 160 albums. The key moment of his career is when meeting John Zorn and the Tzadik label in the 90s. A long association was born from this and this led him to play with all the avant-garde New York scene. He began then joining the Electric Masada, Jamie Saft Trio, New Zion Trio [All About Jazz], where he made trips with acoustic and electric piano, synth, electronics, noise. Saft developed during those years a sound powerful and crystalline at the same time, between classical virtuosity, merging that with jazz and klezmer scales, mainly devoted to the electric piano.
Another partnership became important in his career, and it is the one with the RareNoise label led by Giacomo Bruzzo, where he felt at ease when proposing courageous, unexpected ideas. He bagan that joining forces in the complex Metallic Taste of Blood with Eraldo Bernocchi, then collaborated with Wadada Leo Smith – their 2014 Red Hill is one of the most beautiful free improvisation works lately! – with Roswell Rudd, with Bobby Previte and Steve Swallow. He played with the last two in the New Standard Trio and in of the most amazing works in 2017, that Loneliness Road featuring an unexpected crooner such as Iggy Pop. His endless discography includes tributes to Bob Dylan, whom along with Joni Mitchell and the ‘Itals’ (Sinatra, Dean Martin) is one of his biggest loves, a folk work in duo where you may find him playing the lap steel guitar, doom- metal sounds next to soul R&B, and noise – not to forget Merzbow among the collaborations.
It is almost surprising to think that only now he releases a solo piano work for the first time. Recorded on March 3, 2017 at the Teatro Carlo Felice in Genoa, Saft tells the plan started from afar: “I conceived a piano recital for the first time in 2007, when my dear friend Giuseppe Vigna invited me to perform this type of concert in Florence. It was a very difficult time for the United States, since it was important for me to be able to present contemporary American music as an example of positive art, art that had left its mark on the world, which had in moments of hatred and negativity, which had promoted a path of growth for mankind “.
And the tracklist of the evening reflects this choice. While alternating the seemingly easy melodic structures of Curtis Mayfeld’s The Makings Of You or Stevie Wonder’s Overjoyed to jazz and classical standards, it creates an atmosphere of unexpected flow, an ideal red thread linking all works together. He always seems to keep us in balance, suspended in the air in the audience, through an wide lyricism, a singing voice, like an anthem recalling the classic American tradition from Copeland on, the American songbook, showing us a great and boundless spaces. And in the meantime he never loses respect for replaying the piece, an act of love towards music, made differently than a pianist like Brad Mehldau would do, analyzing it in its deepest meaning, but instead bringing out its heart, like an act of deference. Take Overjoyed, placed after the serious Sharp Dressed Man, during which he always seems to avoid any risk of trivialization or to override the song with his presence. It makes you feel the full crystalline sound of Steinway Model D: ” Stevie Wonder’s songs are based on a very strong and deep architecture, so I did not feel the need to transform this song.What I wanted was to recreate the positivity and hope that Overjoyed is imbued with, mine is a very respectful and humble homage to a true masterpiece of modern popular music “.
Neverending term of comparison of the solo piano, it is even trivial to take it for example at times, but Jamie Saft may recall Keith Jarrett. Thanks to a shimmering recording, almost ECM-like, we can her shades of the late 80s / beginning of the 90s Jarrett. This is the moment when he plays for the last time in long sets, lasting over thirty minutes, and explores longer improvisation structures, when he reflects on the melodic element with a different apporach, more mindful and heartful at the same time. Words that could be applied to Saft while he plays Human by Jimmy Jan and Terry Lewis merged together with his Gates: the manipulations on the bass register, the ornaments on the melodic passages, the use of the pedal to make the chords resonate and the arpeggios are means that serve a deep and inner lyricism, which could have come out of the most intense moments of the Vienna Concert.
So Coltrane Naima‘s standard also surprises us with a virtuosic cascade of arpeggios, which Saft uses not by means to change the harmonic sense of the piece, but to reflect on the thousand facets of the melody and making it last as much as possible. We find romantic arpeggios as well in the torrential New Standard, from his album with Swallow and Previte, here showing at most his classical background. And the passage to Pinkus, yet another piece of his, this time from Caliwa by New Zion Trio, keeps this mood of nineteenth-century romanticism, albeit strongly veined with blues, full of strongly beaten chords and flurries of notes.
Next to these moments we find the early twentieth century composer Charles Ives‘s The Houseatonic At Stockbridge. He drives us into an atmosphere of mystery and playfulness at the same time. Saft’s words introduce it: “I’ve been working on this track for decades and I still feel like I’ve just scratched the surface. As a student of the great composer and clarinetist Joe Maneri in Boston in the ’80s I was often asked to work on authors like Schumann and Schubert, but I really could not tune into their music. While with Ives I succeeded. A revolutionary author who has explored the microtones, the harmonic dissonances and the coexistence of different musical textures on the same level, anticipating many evolutions of decades. His music is expressed in classic European forms but with a typically American perspective and a profound understanding of the manipulation of sound. For me he is one of the greatest composers of all time. ”
Jamie Saft plays an intense, humble tribute in the deepest sense of the word: at any moment he does not seem to be playing, but to listen to his favorite music, as if he put those on the vinyl in front of us and we were chatting about it. We are there with him while he tells us how beautiful this music is.
Jamie Saft “Solo a Genova”
01. The Makings Of You (Curtis Mayfeld)
02. Human / Gates (Jimmy Jam – Terry Lewis / Jamie Saft) 03. Naima (John Coltrane)
04. Sharp Dressed Man (ZZ Top)
05. Overjoyed (Stevie Wonder)
06. Po’ Boy (Bob Dylan)
07. The New Standard / Pinkus (Jamie Saft)
08. Blue Motel Room (Joni Mitchell)
09. The Houseatonic At Stockbridge (Charles Ives)
11. Blue In Green (Miles Davis/Bill Evans)
12. Restless Farewell (Bob Dylan)