Samuel Hällkvist – Variety of Rhythm [BoogiePost recordings 2017]
Nella sua autobiografia il compositore John Adams racconta così il finale di Grand Pianola Music: ‘Inizia con un lungo e sostenuto accordo di settima dominante che pulsa e vibra per sessanta battute prima di sgorgare in un virtuale Niagara di arpeggi del pianoforte. Quel che segue é una melodia assolutamente familiare, una specie di Ur-Melodie. Pensate di averla già sentita, ma non riuscite a ricordare dove o quando. In realtà é un motivo originale’ [John Adams, Hallelujah Junction, EDT]. Questo passaggio mi é rivenuto in mente ascoltando Variety of Rhythm, una suite composta dal chitarrista svedese Samuel Hällkvist. Un lavoro che é più uno studio sull’ascolto del ritmo e sulle percezioni uditive, trattate alla stessa maniera con la quale si studiano i meccanismi delle illusioni visive, come quelle ritratte sulla copertina. E che ci porta in un mondo di archeologie di suoni, che in ogni momento ci fanno riconoscere Ur-Melodie -anzi in questo caso più Ur-Ritmi– che non ricordavamo di ricordare, come nel caso dell’esempio di John Adams.
Variety of Rhythm é il quarto lavoro solista del chitarrista svedese, ma trapiantato in terra danese, Samuel Hällkvist. Ed é anche il terzo della serie Variety of dopo Variety of Loud (2012) e Variety of Live (2015). Ascoltando la sua discografia in ogni lavoro si vede una direzione, una sperimentazione in un aspetto differente rispetto al precedente. Utilizza una base di chitarra preferibilmente pulita, a cui unisce un lavoro sempre focalizzato su ritmi e poliritmie, sviluppando melodia ed armonia in maniera funzionale allo sviluppo ritmico del brano. Regala pochi soli e preferisce lavorare sulla struttura dei pezzi, utilizzando sonorità che spaziano dal jazz misto di americana di Bill Frisell al math rock, alla psichedelia pinkfloydiana, all’avanguardia, all’elettronica, alla musiche asiatiche, al progressive strumentale tirato -ma mai pomposo, anzi sottilmente ironico, in stile Mats/Morgan Band. Non a caso Samuel ha lavorato con Morgan Agren, oltre che citare le collaborazioni, tra le altre, con Pat Mastelotto, David Torn -quest’ultimo presente anche in questo lavoro- e con la trombettista Yazz Ahmed, il cui Le Saboteuse é stato uno dei lavori più interessanti del 2017. Ed é recentemente membro stabile della storica band svedese prog Isildurs Bane, che l’anno scorso ha lavorato con Steve Hogarth per Colours Not Found in Nature.
Per questo lavoro ha messo insieme un gruppo di 12 musicisti ed ha registrato parti della suite tra Scandinavia, Parigi, Giappone, Anversa, Portogallo e Stati Uniti. Ognuno dei team nelle varie location (vedete sotto la tracklist) ha in carico una parte dei totali 43 minuti del pezzo, che si sviluppano senza interruzioni in tre tronconi principali di composizione scritta, sviluppati in una struttura di forma-sonata di presentazione e ricapitolazione ed inframezzati da segmenti improvvisati. L’inizio della prima parte, Double Adagio, é affidata alla voce di Qarin Wikström ed al basso di Dick Lövgren dei Meshuggah, che costruiscono il primo ostinato sul battito di metronomo portato dal vibrafono di Kumiko Takara. L’ingresso della batteria porta la prima poliritmia. Come Hällkvist descrive nel sito Variety of, creato apposta per spiegare l’analisi musicale del pezzo e la sua costruzione, sentiamo non più di tre accordi ripetuti per molteplici battute mentre tutti gli strumenti dialogano tra un ritmo di 3 ed uno di 7. Sentiamo un gamelan danzante ed allegro sul quale Hällkvist costruisce linee intense con la distorsione lead della chitarra ricca di riverberi fino ai quattro minuti dove la batteria esce per gli ultimi accordi conclusivi dell’intro.
Dietro Variety of Rhythm c’é una forte visione d’insieme a guidare la composizione di questo lavoro, che é legato a doppio filo con la percezione. La psicologia della Gestalt ha analizzato in maniera approfondita la percezione, ponendola per la prima volta al centro della disciplina. Nel 1912 Max Wertheimer, studiando le illusioni visive, sviluppò il concetto di forma, che nella psicologia gestaltica rappresenta l’organizzazione unitaria a livello psichico di elementi che i nostri organi di senso hanno recepito singolarmente. La scena percettiva é già ricca di rapporti tra gli elementi che abbiamo di fronte, come ad esempio nell’esperimento di due lampade vicine che si accendono e spengono velocemente e che il nostro occhio tende a percepire come un’unica lampada. Il nostro occhio, così come il nostro orecchio, riesce a cogliere le interazioni tra gli elementi che avvengono fuori dal campo percettivo. L’esempio visuale di questo processo mentale é suggerito dallo stesso Hällkvist con il titolo di uno dei pezzi principali, The Necker Cube, una figura che gioca sull’illusione cognitiva che ci provoca. I nostri sensi raccolgono più di quello che c’é nella somma delle singole parti.
Hällkvist segue questa via per sviluppare il rapporto tra i ritmi nel suo lavoro. In ogni momento l’ascolto rimbalza come un elastico tra i vari livelli del pezzo, attuando un vero doppio circuito: da un lato il dialogo tra i battiti, intesi come metri, dall’altro quelli tra i ritmi, intesi come costruzioni complessi di accenti e battute in un sistema di segni e di rimandi culturali. Ad esempio nel breve intermezzo improvvisato incollato tra il primo movimento ed il secondo, Tete-a-tete/Blivet, che incomincia intorno ai 5 minuti, pur non percependo battiti, l’ascoltatore continua a portare il ritmo all’interno del proprio ascolto. La seconda parte inizia con un tappeto lento e psichedelico sul quale la chitarra di Hällkvist ed il violino di Liesbeth Lambrecht portano un tema sfasato che va su e giù tra registro alto e basso. La batteria esce dopo circa due minuti lasciando spazio ad una chitarra effettata con un delay tipico del David Gilmour anni ’80. Sceglie un effetto iperabusato dai chitarristi, così rischioso di suonare scontato, con il quale, invece, Samuel costruisce un momento rilassante e spaziale. Le tastiere di Pete Drungle, il basso e la batteria si reinnestano creando una tensione crescente ed utilizzando tutta la scala cromatica. Siamo in un viaggio che parte dai Pink Floyd ed arriva ai primi Porcupine Tree. Un momento che vale il prezzo del biglietto.
Alla fine della parte, prima il vibrafono porta un tema ossessivo mantenendo lo stesso battito che l’ascoltatore ha ormai introiettato, poi, mantenendo la stessa metrica, la successiva improvvisazione di David Torn costruisce un soundscape intenso, che riprende i suoni dell’ultimo lavoro solista per ECM, Only Sky. La terza parte inizia intorno ai 26 minuti come la precedente, con poche note portate dal vibrafono che dialoga con la batteria alternando ritmi quaternari a terzinati e cambiando l’accordo sottostante ad ogni cambio di ritmo. Il ritmo é rallentato mentre ci focalizziamo sulle relazioni tra i differenti patterns. Quando l’orecchio si focalizza sulle similitudini con il minimalismo ecco che richiama il gamelan o le pentatoniche della musica orientale, il prog rock oppure il folk americano.
L’ascolto di Variety of Rhythm avviene ad un livello più profondo di quello del semplice ascolto. Percepiamo uno sviluppo del brano sottostante, mascherato dalle illusioni sonore create ad arte. Ma non é un trucco scenico, quanto un vero e proprio dialogo tra i ritmi all’interno del lavoro, al quale si prende parte in maniera attiva trovando sempre particolari nuovi ad ogni ascolto.
Samuel Hällkvist
Variety of Rhythm
*DOUBLE ADAGIO : TJSP
A1 : TP
trio 1 clip 1: TEAM JAPAN
*TETE-A-TETE / BLIVET: TJSPA
trio 2 clip 1: TP
*huly marga : TU
B1: TP
improv 1 clip 3: TP
A2: TP
*THE NECKER CUBE: TJSPA
B2: TP
*part of ADAGIO DOUBLE: TJS
C2: TP
trio 1 clip 2: TJ
*part of TETE-A-TETE / BLIVET: TJSPA
Samuel Hällkvist, guitar
Dick Lövgren, bass
Qarin Wikström, voice
Knut Finsrud, drums
Liesbeth Lambrecht, violin
Pete Drungle, keys
David Torn, guitar
Yasuhiro Yoshigaki, drums
Kumiko Takara, vibraphone
Paulo Chagas, sax, flute
Silvia Corda, misc
Adriano Orru, bass, objects
Katrine Amsler, programming, edit
In his autobiography, composer John Adams tells the grand finale of Grand Pianola Music: ‘It starts with a long and sustained seventh dominant chord throbbing and vibrating for sixty bars before flowing into a virtual Niagara of piano arpeggios. What follows is an absolutely familiar melody, a kind of Ur-Melodie. You think you’ve already heard it, but you can not remember where or when. It’s actually an original theme ‘[John Adams, Hallelujah Junction, EDT]. This passage came to my mind when I listened to Variety of Rhythm, a suite composed by the Swedish guitarist Samuel Hällkvist. A study of listening to rhythm and auditory perceptions, managed in a fashion similar way to the way we study visual illusions mechanisms, such as those painted on the cover. And that takes us into a world of archaeologies of sounds, at any moment we recognize Ur-Melodies – in this case more Ur-Rhythms– that we do not remember to remember, as in the case of the example of John Adams.
Variety of Rhythm is the fourth solo work by the Swedish-born, but Denmark-resident guitarist Samuel Hällkvist. It is also the third in the ‘Variety of’ series following Variety of Loud (2012) and Variety of Live (2015). Listening to his discography we can see a different direction, an experiment focusing on a different aspect comparing a record to the previous one. He uses a preferably clean guitar base, combining it along a work focused on rhythms and polyrhythms and developing melody and harmony in a way functional to the rhythmic development of the piece. He gives only a few solos and prefers to work on the structure of the pieces, using sounds ranging from the American jazz of Bill Frisell to math rock, Pink Floyd’s psychedelic, avant-garde, electronics, Asian music, complex progressive instrumental -never lavish, even sometimes subtly ironic, i.e. in style of Mats / Morgan Band. No surprise Samuel worked with Morgan Agren, as well as mentioning the collaborations, among others, with Pat Mastelotto, David Torn – who makes an appearance also in this work- and trumpeter Yazz Ahmed, whose Le Saboteuse was among the most interesting releases in 2017. And he is a regular member of the Swedish veteran proggers Isildurs Bane, who worked with Steve Hogarth last year for Colours Not Found in Nature.
For this work he assembled a team of 12 musicians and recorded parts of the suite between Scandinavia, Paris, Japan, Antwerp, Portugal and the United States. Each of the teams in the various locations (see below the tracklist) has a part of the total 43 minutes of the piece, which are developed without interruption in three main sections of written composition, developed in a structure of sonata-form of presentation/recapitulation and interspersed with improvised segments. The beginning of the first part, Double Adagio, is lead by Qarin Wikström‘s vocals together with Meshuggah‘s Dick Lövgren basslines. They build the first ostinato on the beat of metronome brought by the vibraphone of Kumiko Takara, while drums adds the first polyrhythm. As Hällkvist describes in the Variety of site, which has been created to explain the piece’s musical analysis and its construction, we hear no more than three chords repeated for multiple beats while all the instruments dialogue between a rhythm of 3 and 7. We feel a dancing and cheerful gamelan, above which Hällkvist builds intense lines with guitar lead distortion full of reverberations up to four minutes, when drums stop for the last final intro chords.
Behind Variety of Rhythm there is a strong vision to guide the composition of this work, which is linked to the perception cognitive process. Gestalt psychology analyzed in depth the perception, placing it for the first time at the center of this discipline. In 1912, Max Wertheimer, while studying visual illusions, developed the concept of form, which represents the unitary organization of elements at cognitive level that our senses received individually. The perception scene is already full of the relationships between the elements we are sensing, such as in the experiment of two close lamps that turn on and off quickly: our eyes tends to perceive them as a single lamp. Our eye, as well as our ear, is able to grasp the interactions between the elements that occur outside the perceptions field. The visual example of this mental process is hinted by Hällkvist himself with the title of one of the main pieces, The Necker Cube, a figure created to work on the ambiguity of the cognitive illusion. Our senses collect more than what is in the sum of the individual parts.
Hällkvist follows this path to develop the relationship between the rhythms in his work. At any time the listening act rebounds like a rubber band between the various levels of the piece through a double circuit: on one hand the dialogue between the beats, meant as meters, on the other those between the rhythms, meant as complex constructions of accents and quotations of signs and cultural references. For example, in the short improvised interlude glued between the first movement and the second, Tete-a-tete / Blivet, which begins around 5 minutes, while not perceiving beats, the listener continues to bring the rhythm within him/herself while listening. Second part begins with a slow and psychedelic carpet on which Hällkvist’s guitar and Liesbeth Lambrecht‘s violin bring a theme out of phase that goes up and down between the higher and lower register. The drums comes out after about two minutes leaving room for delay guitar lines, using a well-known 1980s David Gilmour effect. He chooses a overused effect chosen by many guitarists, making a very risky move: instead, Samuel builds a relaxing and spatial moment. Pete Drungle‘s keyboards, bass and drums are coming back in creating a growing tension while moving through the whole chromatic scale. We are on a journey starting from Pink Floyd until the early Porcupine Tree. A moment worth the price of the ticket.
At the end of the part, vibraphone brings an obsessive theme on the same beat that we listened on the previous moments and we still feel in ourselves, then the following improvisation by David Torn builds an intense soundscape, which recalls the sounds of his last solo on ECM, Only Sky. The third part begins around 26 minutes like the previous one, with a few notes brought by the vibraphone dialoguing with the drums. This time music swings from quarters to triplets and it changes the underlying chord at each change of rhythm. The rhythms is slow while we hear all possible interactions between different patterns. When our ear focuses on the similitudes with minimalism, here there is a reminiscence of gamelan or a pentatonic referring to oriental music or prog rock or American folk.
Listening to Variety of Rhythm takes place at a level deeper than just listening. We perceive an underlying development of the song, hidden behind the the cognitive illusions. It is not a trick, but rather a real dialogue between the rhythms within the work, in which the listener takes an active part by finding new details for each listening.
Samuel Hällkvist
Variety of Rhythm
*DOUBLE ADAGIO : TJSP
A1 : TP
trio 1 clip 1: TEAM JAPAN
*TETE-A-TETE / BLIVET: TJSPA
trio 2 clip 1: TP
*huly marga : TU
B1: TP
improv 1 clip 3: TP
A2: TP
*THE NECKER CUBE: TJSPA
B2: TP
*part of ADAGIO DOUBLE: TJS
C2: TP
trio 1 clip 2: TJ
*part of TETE-A-TETE / BLIVET: TJSPA
Samuel Hällkvist, guitar
Dick Lövgren, bass
Qarin Wikström, voice
Knut Finsrud, drums
Liesbeth Lambrecht, violin
Pete Drungle, keys
David Torn, guitar
Yasuhiro Yoshigaki, drums
Kumiko Takara, vibraphone
Paulo Chagas, sax, flute
Silvia Corda, misc
Adriano Orru, bass, objects
Katrine Amsler, programming, edit