Gerschlauer Fiuczynski – Mikrojazz [RareNoise 2017]
Quando ho saputo che oltre al feticismo per il vinile, dal quale cerco di tenermi lontano come un drogato in astinenza, siamo diventati pronti anche al revival per le cassette, beh, il mio cuore si é diviso dalla ragione. Da una parte la sensazione teneramente analogica del nastro che passa nel lettore ha risvegliato ricordi d’infanzia -ok la penna bic per riavvolgere il nastro che usciva. Dall’altra mi viene in mente la precisione del suono digitale vs quello smagnetizzato, sotto di un mezzo tono, quando andava bene, rispetto all’originale. Quando andava male, allora il nastro improvvisamente stonava di anche di più nel mezzo del pezzo. Una delicata ballad di Joan Baez diventava una discesa agli inferi del peggior doom. Anni di consonanza hanno forgiato indelebilmente i nostri orecchi.
Quando parte Mikrojazz [RareNoise records 2017] punto di arrivo del cultore della chitarra microtonale nonché capo del Planet MicroJam Institute del Berklee Dave Fiuczynski, insieme al sassofonista Philip Gerschlauer, ho entrambe le sensazioni descritte sopra. Solo per un attimo, prima di immergermi in un limbo amniotico di jazz microtonale. Uno swing irresistibile guidato dalla batteria di Jack De Johnette e dal basso fretless -granitico e potente come solo lui- di Matthew Garrison. Siamo a cavallo tra il groove di Paul Desmond ed una cadenza di accordi che Jim Black avrebbe trovato perfetta per i suoi AlasNoAxis, con quel giusto tocco di post grunge anni ’90. Sarà che tutti gli strumenti armonici, incluso il sorprendente ed a me sconosciuto tastierista microtonale Giorgi Mikadze, sfruttano rigorosamente molto più delle 12 note di un’ottava, ma giocano su un repertorio di almeno 128 suoni.
Philipp Gerschlauer ha lavorato per creare uno spettro tanto ampi per il suo sassofono. “Ho iniziato a usare i microtoni sul sax circa dieci anni fa” spiega Gerschlauer “volevo estendere le possibilità del linguaggio armonico e melodico che veniva usato nel jazz. Ho iniziato a notare che pianoforte e tastiere tradizionali non potevano fornire gli spettri armonici e melodici completi che servivano per le mie composizioni. Così, cinque anni fa, ho deciso di sviluppare la mia tastiera microtonale, che ora riempie quel vuoto. Quando ho scoperto il lavoro che David stava facendo a sua volta, ne sono rimasto entusiasta e ho pensato che una collaborazione tra di noi prima o poi sarebbe stata naturale”.
Dave Fiuczynski, in arte Fuze, sembra un partner naturale. Dagli anni novanta ha attraversato i territori del rock d’avanguardia -per dire così degli Screaming Headless Torsos- alla fusion etnica vs elettronica. Ha sollevato gli interessi degli shredder anni ’90 quando si presentò con una chitarra doppio manico, sopra fretless e sotto ad 1/4 di tono. Il tutto condito da un playing jazz standard mischiato con musica indiana, mediorientale, R&B. Sta sempre a cavallo fra groove, bending blues, slides da raga indiano. Il suo fraseggio fluido é un sogno di controllo delle note, di citazioni tra mondi distanti e lontani, come il LaMonte’s Gamelan Jam.
Fuer Mary Wingman mi ricorda un Acoustic Masada: la batteria di De Johnette da una parte guida il pezzo intero, sul quale i quattro costruiscono uno spettro di microdissonanze dal sapore solo vagamente minore. Uno dei riferimenti esplicitati dai due autori principali ed ideatori del progetto, Gerschlauer e Fiuczynski, é il richiamo allo spettralismo di David Grisey. Alla fine degli anni ’70, all’interno della nuova creazione di Pierre Boulez, il costosissimo istituto IRCAM di Parigi situato nel Centre Pompidou, Grisey iniziò ad esplorare le possibilità della musica spettrale. In opere come Periodes lavora su un’estensione ulteriore tra i mezzi-toni che compongono la musica e la scrittura accademica occidentale fino al ‘900 -della scrittura ne riparlerò sotto. Realizza nelle opere dello spettralismo una copertura estrema dello spettro acustico unita ad un allentamento da concetti come tonalità, cadenza e melodia. Suoni prolungati all’estremo, dissonanze microtonali caratterizzano la musica corporale -nel senso di adattata ai ritmi del nostro corpo- dei Les Espaces Acoustiques.
Lullaby Nightmare é forse il riferimento più esplicito all’approccio spettrale. Una frase lenta, una serie quasi-dodecafonica di Giorgi Mikadze fa da sfondo ad un crescendo sul quale sassofono, chitarra e basso creano un cluster ligetiano degno di Atmospheres. “Attraverso il timbro e l’armonia, negli accordi che vengono creati come direttrici di parziali che possono potenzialmente unirsi in singoli suoni e nell’intermezzo tra ciò che é suonato e ciò che é ascoltato, in quello spazio [Grisey] era interessato nella combinazione dei suoni e negli effetti creati tra fonte del suono ed orecchio” (da Modern Music and After, Paul Griffiths). Potremmo facilmente sostituire Grisey nella frase precedente con Mikrojazz.
Ognuno dei quattro trova un approccio differente alle regole del gioco di base. Matthew Garrison riesce a tirar fuori la potenza delle sue linee, riuscendo ad essere tonale anche al di fuori -parzialmente- del richiamo alla tonalità. Alla stessa maniera lavora Giorgi Mikadze, ‘distorcendo’ piacevolmente progressioni e comping, come MicrCoy Tyner, attraverso la sua tastiera microtonale. Gerschlauer, invece, ha un approccio più direttamente jazz standard, se vogliamo: in Umarmung regala una linea che viaggia quasi impercettibilmente tra temperato e non, sostenuta dalle tastiere gamelan di Mikadze. Il solo cantabile e malinconico attraversa microtoni come un bluesman usa la quinta bemolle. Il tutto contrastato dall’uptempo veloce di De Johnette.
Mikrojazz vive di un’idea forte alle spalle. Il microtonalismo, come racconta anche Fuze, non é una novità nella musica occidentale. Attraverso i costanti contatti con le musiche non scritte che avevano sviluppato sistemi diversi dal nostro temperato, come il gamelan balinese, i raga indiani, la musica etnica medio orientale e dell’est europa. O anche per tornare nell’occidente alle sperimentazioni di Ives, nei cluster di Ligeti, negli strumenti autoprodotti Harry Partch, fino ad arrivare ovviamente agli spettralisti. “Quello che facciamo in “Mikrojazz” – e che io ho fatto anche su “Planet Microjam” e “FLAM!” — è qualcosa di nuovo: è jazz in scala microtonale e non conosco altri che lo stiano facendo”. “Non capisco come mai la grande maggioranza dei musicisti jazz contemporanei continui a usare solo 12 note per ottava”.
L’aspirazione di Fuze di indicare una nuova Shape of the Jazz to Come magari può sembrare eccessiva. Questo doveva essere il primo sottotitolo dell’album, poi deciso nel più germanico -ed ironicamente in un certe senso, più ancorato alla tradizione tonale della musica accademica del ‘900- di Neue Expressionistiche Musik. Schoenberg, dice lo stesso Fiuczynski, aveva a sorpresa indicato la microtonalità come il futuro; anche oltre la sua invenzione dodecafonica. Oggi l’argomento rimane in un sottobosco di interesse, e Fuze non é da solo, visto che altri compositori stanno lavorando in campi paralleli, come Elaine Walker nella Xenarmonia. Microjazz segue le orme del famoso aneddoto, sempre di Schoenberg, il quale, rispondendo ai suoi detrattori, diceva che nel futuro il tassista medio avrebbe fischiettato la sua musica, tanto sarebbe stata popolare. Nell’augurio che si avveri, a differenza che per Schoenberg. Certo, fischiettare in microtonale però…